Donna russa alla Via Crucis, l'università cattolica ucraina al Papa: «Caino e Abele portano croci diverse»

Donna russa alla Via Crucis, l'università cattolica ucraina al Papa: «Caino e Abele portano croci diverse»
di Franca Giansoldati
Mercoledì 13 Aprile 2022, 19:13
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Città del Vaticano – La principale università cattolica dell'Ucraina fornisce a Papa Francesco una lezione di teologia per la sua «inspiegabile» scelta di equiparare la croce portata dagli ucraini a quella dei russi nella speranza di anticipare così la via del perdono reciproco.

Donna russa alla Via Crucis 

«Abele e Caino non possono portare la croce nello stesso momento, perché sono croci diverse: la croce di Abele è quella della vittima innocente e quella di Caino rappresenta il pentimento del colpevole, ma non possono essere combinate, perché ognuno che vuole seguire Gesù deve prendere la propria croce (Matteo 16,24).

Inoltre, gli ucraini stanno già portando la prima croce; i russi devono ancora prendere la seconda croce sulle loro spalle». La decisione del pontefice di chiedere a una donna russa e una ucraina di essere assieme alla Via Crucis il giorno del venerdì santo resta foriera di delusioni, timori, sbigottimento.

A raccogliere questi stati d'animo e fornire un chiarimento di stampo teologico è il vice rettore dell'ateneo, Myroslav Marynovych che in un articolo pubblicato sul sito scrive: «Non c'è sicuramente cattiva volontà negli sceneggiatori dell'azione ma piuttosto un'incapacità a vedere le circostanze di questa guerra dall'interno, e non solo dall'esterno. Pertanto, gli ucraini non sentono la giustizia nelle parole di Papa Francesco in questi giorni». Allo stesso modo, prosegue il professore, la scelta di Francesco di non pronunciare mai il nome di Putin «dà l'impressione di voler separare il criminale dalla meritata punizione».

«Tuttavia, la propaganda russa sta già diffondendo la parola sulla incommensurabilità delle sanzioni, che intenerisce il cuore di molti cristiani europei. Si sentono già dispiaciuti per i russi e cercano già di proteggerli dalla responsabilità e dalla punizione. Dicono che Putin è in guerra - non il popolo russo. E quindi, affermano, perché punire i buoni russi che soffrono anche loro? Non è meglio per entrambe le nazioni stringersi la mano adesso?»

«Ma il cristianesimo non può essere ridotto a compassione sentimentale, perché deve essere giusto. Gli europei compassionevoli devono rendersi conto che togliendo la responsabilità ai russi, in realtà stanno facendo loro un cattivo servizio. Perché il crimine dello stato russo in Ucraina, non compreso come un peccato porterà inevitabilmente a un peccato ancora peggiore. Amare veramente i russi significa precisamente rivelare loro la portata del loro crimine, permettere loro di essere inorriditi da ciò che hanno fatto, e indirizzare le loro anime a un sincero pentimento davanti a Dio e agli uomini». Il professore ucraino ricorda anche che dopo la seconda guerra mondiale i tedeschi riuscirono a percorrere il difficile sentiero della riconciliazione ma solo dieci anni dopo la loro sconfitta.

«Se i russi ci riusciranno - e se sì, quando - lo mostrerà il futuro. Ma le nostre croci, con cui andiamo a Lui, sono diverse: per alcuni è la croce del sacrificio, per altri è la croce penitenziale del peccatore. E le nostre vesti sono diverse: gli innocenti uccisi hanno "»vesti bianche" (Apoc. 6,11), e i loro assassini hanno macchie di sangue (cfr. Isaia 59,3). E sebbene l'amore del Signore sia uno solo, Egli ci parla in modo diverso: alle vittime con compassione, e ai colpevoli con durezza».

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