Zuppi (presidente Cei): «Roma deve pensare in grande, Giubileo e Expo occasioni da cogliere»

«No alla campagna elettorale permanente. Meloni al governo? Nessuna preclusione»

Zuppi (presidente Cei): «Roma guardi al futuro grazie a Giubileo e Expo»
Zuppi (presidente Cei): «Roma guardi al futuro grazie a Giubileo e Expo»
di Franca Giansoldati
Giovedì 23 Giugno 2022, 21:30 - Ultimo agg. 24 Giugno, 14:53
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Quando descrive «l’orizzonte prossimo» riferibile ai mesi autunnali (che si preannunciano piuttosto duri) il neo presidente dei vescovi, il cardinale Matteo Zuppi lancia un appello alla compattezza, spiegando che il periodo che «abbiamo davanti» si presenta come una sfida gigantesca «per tutti». Nessuno escluso. Quindi per i partiti che formano il governo Draghi, per quelli che sono all’opposizione, per la gente comune, per la classe imprenditoriale e pure per i vescovi. Ognuno è chiamato a dare conto della propria capacità di fare sistema e lavorare assieme. Zuppi osserva un Paese sempre più frammentato, reso fragile dalla pandemia e dagli effetti collaterali della guerra in Ucraina. In quest’intervista, rilasciata ai maggiori quotidiani nazionali, l’ex prete di strada, dal suo palazzo arcivescovile di Bologna, annuncia che a breve chiederà una interlocuzione al presidente Draghi poiché il Paese continua a soffrire di tre mali endemici, la corruzione, la burocrazia e l’evasione fiscale. Il rilancio di Roma Capitale e i due appuntamenti internazionali di primaria importanza, il Giubileo del 2025 e l’Expo 2030 restano fattori di speranza sui quali investire energie.

Cardinale lei ha il polso dell’Italia grazie alla rete parrocchiale: è così tanto fragile?
«Luci e ombre. È una Italia che possiede una forza incredibile come si è visto nella pandemia, quando ha saputo liberare energie positive.

La solidarietà è aumentata, i volontari sono cresciuti, si è imparato a fare network ma l’autunno ci riserverà l’emersione di problemi seri legati alle conseguenze del Covid e della guerra. Siamo indubbiamente più fragili. Ma più faremo fatica a immaginarci assieme ad agire, più resterà un gap che non potrà che peggiorare tante distanze». 

Il Paese è frammentato, le forze politiche si contrappongono e sono litigiose, non si sa se il governo Draghi riuscirà a mantenere la stessa compattezza, i prezzi stanno salendo alle stelle. Ha già avuto modo di parlare di queste cose con il premier?
«Ancora non ne ho avuto modo da quando sono arrivato alla Cei. Ma è chiaro che assieme ai vescovi cercheremo una interlocuzione. La ritengo necessaria in una fase in cui tutti devono agire assieme per il bene comune. È un momento assolutamente decisivo per il nostro Paese e anche per l’Europa intera. Tutto quello che davamo per scontato ed era stabile, sicuro o resistente non lo è più. Serve compattezza nazionale a ogni livello, nessuno escluso. C’è anche bisogno che le istituzioni funzionino. Dobbiamo combattere evasione, corruzione e burocrazia. Anche se, mi chiedo, come faremo in cinque anni a mettere in piedi un piano risolutivo di qualcosa che ci portiamo appresso da troppi decenni. Ecco perché il sentiero da percorrere resta quello della consapevolezza, dello sforzo trasversale, dell’amore per il prossimo». 

I partiti però sono già in fibrillazione, l’anno prossimo si vota..
«Speriamo solo che non si entri in una campagna elettorale perenne da qui a un anno, e che le legittime differenze e le divisioni esistenti non intralcino la necessità di un impegno unitario. Ci auguriamo che ci sia responsabilità, certo le difformità ci sono, sono evidenti, ma contemporaneamente si deve fare un grande sforzo per consolidare quello che ci permetterà di andare oltre il contingente. È la vera richiesta che arriva da chi vive in sofferenza: parlo degli oltre 6 milioni di persone povere. Praticamente un italiano su dieci. A questo va aggiunto anche che è aumentata ovunque la percezione della solitudine». 

Alle prossime elezioni Giorgia Meloni potrebbe uscire vincitrice e possibile prima premier donna. Che ne pensa?
«La conosco da quando era ministro delle politiche giovanili, allora c’era il governo Berlusconi. La Chiesa non ha preclusioni di sorta e non abbiamo mai fatto nessuna analisi in merito. Per noi la volontà del popolo è sovrana. Chiunque sarà l’interlocutore a Palazzo Chigi troverà una Cei attenta a difendere le sue posizioni, che si riassumono nella tutela dei valori cristiani legati alla persona. La persona per noi è sempre al centro. L’interlocuzione con i governi, di ogni colore, è sempre istituzionale e non ci devono essere differenze. Anzi, ci sarà molto rispetto e con tanta lealtà e chiarezza la Cei dirà sempre ciò che la preoccupa o se ci saranno temi di disaccordo». 

Lei che è un romano trapiantato da sette anni in Emilia, come vede la Capitale da Bologna?
«Se uno va a Milano capisce subito che è una città europea. Roma, la nostra Capitale, è una metropoli meravigliosa ma se non inizia a pensare in grande rischia di restare imprigionata in un museo bellissimo. Deve allargare lo sguardo nel futuro, proiettarsi in avanti. Il cammino di Roma verso l’Europa, simbolicamente, è il cammino dell’Italia intera. Il nostro Paese ha una sua storia e una sua sensibilità particolare e il Pnrr offre l’opportunità di avere sostegni e aiuti ma deve anche riuscire a spenderli. All’orizzonte ci sono due appuntamenti internazionali di grande rilievo: il Giubileo del 2025 che servirà sicuramente a riportare Roma sotto i riflettori internazionali. E poi anche l’Expo nel 2030. La chiave di questo Giubileo vuole essere un invito alla perseveranza e certamente aiuterà una riflessione comune durante questi tre anni di preparazione. Senza speranza, infatti, non si vive. Sembra una banalità ma se la speranza viene sepolta, sopraggiungono diffidenza e di pari passo l’opportunismo. Ecco perché il discorso spirituale si trasforma in un argomento non tattico, ma strategico. Il Giubileo è anche l’occasione per ritrovare l’anima del servizio comune. Naturalmente la Chiesa italiana aiuterà questo cammino e lo sosterrà».

La politica continua a essere spaccata sull’invio di armi all’Ucraina, anche se è chiaro che c’è un aggredito e un aggressore...
«Penso che si debba fare di tutto per arrivare al disarmo. Invece delle armi dovremmo cominciare a pensare a vie differenti, a far agire maggiormente la diplomazia, a insistere sull’impegno vero per il negoziato. Ogni guerra finisce sempre con un negoziato. Certo, in questo caso abbiamo un paese aggredito che ha il diritto di difendersi, ma nella ricerca della pace si devono sfruttare anche altri terreni e a non investire solo sul materiale bellico». 

Lei insiste tantissimo sul bisogno di unità in campo politico, istituzionale, economico. In questo momento però anche la Chiesa sembra tanto divisa..
«La sfida è la medesima pure per la Chiesa. La comunione insieme tra diversi è la sfida che serve a ricostruire la comunità, crescere nella originalità, pur rimanendo nella soggettività. Altrimenti si diventa un’isola, si pecca di auto-referenzialità. Insomma, la comunione non è mai un elemento scontato, semmai è una missione che deve rispondere alle attese del prossimo futuro e del bene comune».
 

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