Ecco perché Papa Francesco ha deciso di fare un sinodo sull'Amazzonia, le risposte del cardinale Hummes

Ecco perché Papa Francesco ha deciso di fare un sinodo sull'Amazzonia, le risposte del cardinale Hummes
di Franca Giansoldati
Martedì 24 Settembre 2019, 18:09 - Ultimo agg. 5 Ottobre, 17:12
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Città del Vaticano – Perché Papa Francesco ha deciso di dedicare un evento tanto impegnativo per la Chiesa come  un sinodo   alla regione dell’Amazzonia? Cosa lo ha portato ad intraprendere questo passo? A queste domande hanno dato risposta due giornaliste, Stefania Falasca e Lucia Capuzzi, in un libro intitolato Frontiera Amazzonia, (Emi, 2019, pagine 172, 15 euro). Entrambe hanno viaggiato in lungo e in largo tante zone amazzoniche, inoltrandosi  nella foresta pluviale, percorrendo ampi tratti con piccole imbarcazioni accompagnate da missionari e popolazioni indios. Nei luoghi e nelle storie descritte si capiscono le ragioni umane, sociali, antropologiche, pastorali che hanno indotto Papa Francesco a non restare indifferente e a prendere in considerazione l'idea di dedicare energie e speranza a una zona cruciale non solo per il continente ma per il pianeta. La deforestazione, l’impoverimento, la condizione di quasi schiavitù di molte comunità indigene, l’assenza di legalità, lo sfruttamento del sottosuolo, l’incapacità dei governi di dare risposte di giustizia e soprattutto il bisogno di non fare mancare la parola di Dio.

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Il cardinale Claudio Hummes che ha firmato la prefazione, da presidente della Rete ecclesiale panamazzonica e da relatore generale al prossimo sinodo ripercorre la genesi di questo cammino ha scritto: «Un primo campanello d’allarme era stato lanciato nel 2007 ad Aparecida, quando l’allora arcivescovo Bergoglio disse che era rimasto impressionato da come i vescovi brasiliani della regione amazzonica parlavano delle sfide della Chiesa in quel grave contesto, facendogli comprendere l’importanza dell’Amazzonia. Quando, poi, nel 2013 è venuto a Rio de Janeiro, nel discorso ai vescovi brasiliani ha detto che essa rappresentava un test decisivo per la Chiesa. Ciò vuol dire che non possiamo perdere l’Amazzonia, non possiamo sbagliare qui come Chiesa. È un banco di prova. È necessario che essa formi un clero autoctono e sia coraggiosa nel trovare nuove condizioni per avere un volto amazzonico. Che prenda insomma decisamente l’impegno di avviare un processo di conversione missionaria e pastorale, incarnata e inculturata nelle culture della regione, quindi interculturale, dato che nel territorio convivono molte culture diverse».

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Nel frattempo Papa Francesco in questi anni ha denunciato ogni forma di neocolonialismo e ha esortato la Chiesa a inculturarsi nelle culture locali, visto che il cristianesimo non si «dispone di un unico modello culturale.
I popoli indigeni sono e devono essere interlocutori indispensabili. Essi conoscono l’Amazzonia meglio di chiunque altro. (…) Da sempre vivono immersi in una biodiversità incalcolabile e affascinante. Sono i sapienti guardiani e custodi di questo immenso ecosistema privilegiato. La loro saggezza non può andare perduta, né la loro cultura, né le loro molte lingue, la loro spiritualità, la loro storia, la loro identità. Numerose etnie sono state totalmente sterminate. Una piccolissima percentuale è sopravvissuta e continua a lottare per riuscire a esistere».  

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«Di fondamentale importanza per la sopravvivenza dei popoli indigeni è la terra - si legge -, il suolo concreto sul quale hanno vissuto i loro antenati, supporto assolutamente necessario della loro cultura e della loro possibilità di sussistenza. Il possesso della terra costituisce un diritto essenziale dei popoli indigeni. Come l’autodeterminazione
Il sinodo per l’Amazzonia vuole diventare un faro e vuole aprire nuovi cammini per tutta la Chiesa della regione, sia nelle città, sia nella foresta, sia per la popolazione urbana, per i popoli indigeni, i ribeirinhos, i contadini, i seringueiros e altri che vivono nell’interno della regione, dispersi e fuori da agglomerati urbani, con un obiettivo principale, definito: la difesa e l’evangelizzazione incarnata nella cultura dei popoli indigeni in una prospettiva di ecologia integrale».
 

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