Papa Francesco, mea culpa per le atrocità dei conquistadores in Messico, la Spagna protesta

Papa Francesco, mea culpa per le atrocità dei conquistadores in Messico, la Spagna protesta
di Franca Giansoldati
Mercoledì 29 Settembre 2021, 17:59
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Città del Vaticano – Alla fine il mea culpa per le colpe della Chiesa in Messico, all'epoca dei conquistadores spagnoli, è arrivata. Papa Francesco ha invitato i messicani a fare memoria del passato, «a riconoscere gli errori commessi in passato», citando esplicitamente sia quelli inflitti dalla Chiesa cattolica - «i peccati personali e sociali, le azioni o omissioni che non hanno contribuito all'evangelizzazione» - sia quelli che la Chiesa ha subito - le politiche anti-cattoliche dei governi messicani di inizio Novecento che diedero origine alla guerra cristera. 

Tuttavia il Papa non ha fatto alcuna menzione alla richiesta che era arrivata in Vaticano l'anno scorso sulla restituzione di alcuni antichi manoscritti relativi alla cultura indigena dei Maya e degli Aztechi conservati nella Biblioteca Vaticana, evidentemente arrivati in Vaticano dopo le razzie dei conquistadores.

Il presidente messicano Obrador spiegava al Papa, l'anno scorso, che avrebbe voluto esporli al pubblico  in occasione del 500esimo anniversario della conquista spagnola del Messico. «In occasione di questo evento sia la monarchia spagnola, la Chiesa e lo stato messicano devono offrire pubblicamente le scuse ai popoli nativi che hanno sofferto tanto» aveva chiesto Obrador.

Naturalmente la questione benchè vecchia di 500 anni è ancora materia viva, soprattutto per la Spagna. Così alle parole di scusa del Papa inviate ai vescovi messicani sono piovute immediatamente le critiche della presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, esponente del Partito popolare, che ha definito "sorprendente" il mea culpa del Papa per i "peccati" della Chiesa all'epoca dei conquistadores. 

In un messaggio indirizzato al vescovo Rogelio Cabrera Lopez, presidente della Conferenza episcopale messicana, in occasione del Bicentenario della Dichiarazione di Indipendenza (1821), il papa aveva già avuto modo di sottolineare che «celebrare l'indipendenza è affermare la libertà, e la libertà è un dono e una conquista permanente. Per questo mi unisco alla gioia di questa celebrazione e, allo stesso tempo, auguro che questo anniversario così speciale sia un'occasione propizia per rafforzare le radici e riaffermare i valori che la costruiscono come Nazione». 

Come spesso capita però i fantasmi del passato non risolti riportano a galla capitoli bui che si trascinano con effetti anche concreti, come in questo caso che è accompagnato dalla richiesta di un atto  risarcitorio.

Del resto difficile dimenticare che i conquistadores spagnoli, subito dopo la scoperta delle Americhe, consideravano gli indios non equiparabili ai bianchi. All'epoca non mancarono nemmeno dispute teologiche per stabilire se le popolazioni maya o inca avessero o meno un'anima. Solo nel 1537 una bolla papale – la Sublimis Deus – promulgata da Paolo III, vietò finalmente la schiavitù degli indios invalidando qualsiasi contratto, decretando che gli indios erano davvero esseri umani.

Nel 1992 fu Papa Wojtyla, per primo, durante un viaggio in America Latina, a sollevare l'argomento mettendo in evidenza le sofferenze enormi arrecate dal cristianesimo a quel continente. Conversioni forzate, omicidi, annientamento culturale e altre nefandezze compiute dai conquistadores sui nativi, sterminati tra l'altro da virus che fino a quel momento non conoscevano, come la febbre tifoide, il vaiolo, la scarlattina. Malattie che decimarono le popolazioni andine, inca e maya.

Oggi, sotto la spinta del Black Lives Matter, la questione del mea culpa si ripropone riaprendo contenziosi diplomatici tra la Spagna e il Messico, riaccendendo scontri politici più che storici, alimentati dalla martellante richiesta del presidente messicano Manuel Lopez Obrador al Papa di farsi portavoce di un corale mea culpa sulle responsabilità della Chiesa che inizialmente affiancò i conquistadores. 

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