Wojtyla, il papa che rilanciò l'Europa unita: 100 anni fa nasceva Giovanni Paolo II

Wojtyla, il papa che rilanciò l'Europa unita: 100 anni fa nasceva Giovanni Paolo II
di Franca Giansoldati
Domenica 17 Maggio 2020, 10:54
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Un santo, un combattente, un protettore dell'Europa unita. Esattamente un secolo fa, nel cuore del continente, in una cittadina della Polonia meridionale, situata tra Cracovia e Bielsko-Biaa, ai piedi dei monti Tatra, Wadowice, nasceva Karol Wojtyla. Fu eletto Papa nel 1978. Quando fu annunciato dalla Loggia delle Benedizioni davanti a una folla enorme ci fu un attimo di suspence perché il suo nome essendo ostico da pronunciare (poi ci si fece l'abitudine) per un attimo fece immaginare un pontefice africano.

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Carolum cardinale Voitiua. Giovanni Paolo II ha regnato quasi 27 anni. Promulgato 14 encicliche, decine di documenti, Lettere, Esortazioni, Motu Proprio. Viaggiato come nessun altro, finché le forze glielo hanno consentito, come un vero globetrotter. Uno dei suoi ultimi viaggi prima di morire è stato in Bulgaria, quasi volesse togliere ogni peccato originale da questo paese dell'Est a lui molto caro ma sul quale si erano concentrati i sospetti dell'attentato di piazza San Pietro, nel 1981. Tempi lontani e difficili, il mondo era spaccato in due, c'erano la cortina di Ferro, il pericolo atomico e questo giovane Papa di appena 61 anni che a Varsavia, nel 1979, in una piazza piena all'inverosimile, urlò al microfono che Cristo non rappresentava una minaccia ma era una risorsa faceva paura. Il Cremlino temeva la sua forza e la sua determinazione.
I SERVIZI SEGRETI
«Nella causa di beatificazione noi non siamo andati a indagare sull'attentato e la dinamica che vi stava dietro, non ci interessava. Le mie personali impressioni sono le stesse delle autorità italiane: che dietro ci siano stati i servizi segreti dei regimi dell'Est con la partecipazione dei bulgari», afferma monsignor Slawomir Oder. Di fatto il centenario di Papa Wojtyla offre un inevitabile spaccato storico sulla parabola europea. Dapprima divisa dalla ideologia e ora da muri invisibili di benessere e individualismo. Quello che lui temeva.
Monsignor Rino Fisichella, il teologo che elaborò per lui la piattaforma teologica per il Grande Giubileo del Duemila e il mea culpa della Chiesa sull'Inquisizione, in un libro intitolato Dentro di me il tuo nome (San Paolo Editore) ha spiegato in cosa consiste la sua modernità. «Egli ha allargato lo sguardo dell'Europa e sbriciolato un limite troppo Occidentale. È a lui che si deve la sintesi di un continente che va dagli Urali alle Alpi. Ne parlò per la prima volta nel 1979. Non era ancora crollato il Muro di Berlino. Le sue parole allargarono un orizzonte oggi realizzato, ma allora non era nemmeno una ipotesi di lavoro. Ha saputo circoscrivere il senso più profondo delle radici del pensiero europeo, esattamente come lo erano nel VI e VII secolo, usando l'immagine di due polmoni, quello dell'est e quello dell'ovest, per fare capire la forza di quel progetto vitale».
L'EVANGELIZZAZIONE
Tra le encicliche c'è la Slavorum Apostoli: tra i santi patroni europei, come Benedetto o Francesco, inserì anche Cirillo e Metodio. «Quell'enciclica invitava a non guardare l'Europa in modo strabico ma nella maniera in cui la avevano contemplata i popoli nei primi secoli della evangelizzazione. San Giovanni Paolo II mise l'accento sul fattore della cultura e della tradizione, altrimenti senza questi due elementi - diceva - non si capisce più chi siamo, dove siamo, né dove vogliamo andare. La bussola del presente e del futuro».
La battaglia intrapresa per menzionare nel preambolo della costituzione europea le radici giudaico-cristiane andò però male. Fisichella lo ricorda bene quel periodo: «Chirac nel nome di una falsa laicità fece di tutto per contrastare questa posizione. La carta europea non è mai stata approvata. Penso che si sia persa una grande occasione per rafforzare l'unione dei Paesi». Quello che temeva Wojtyla si è materializzato: l'idea di una visione individualista che impedisce di avere uno sguardo organico e unitario.
GLI ARGOMENTI
L'eredità che lascia è enorme in ogni campo. «È stato un punto di riferimento sui grandi confronti etici. Il tema della pace, per esempio. In America Latina, la guerra nei Balcani e poi la guerra del Golfo. Penso poi alla condanna fatta ad Agrigento davanti al fenomeno della mafia. Una questione che toccava non solo il territorio italiano, ma tutto il mondo per via della corruzione, della violenza, del traffico della droga divenuto un business globalizzato». L'altra grande battaglia è stata sulla vita. La vita nascente, la morte naturale o la sperimentazione delle cellule umane. «In 27 anni sono state traiettorie chiare che andavano a confrontarsi con le legislazioni. Non ha mai avuto paura».
IL SISTEMA MARXISTA
Infine i temi sociali, come la questione operaia che lui aveva assimilato per avere conosciuto la fatica del lavoro in una cava. «Ha promulgato tre encicliche sociali per dare dignità agli operai, al loro lavoro e non mostrarli come inesistenti». Eppure, nonostante la sua insistenza contro il capitalismo selvaggio e la questione operaia, non è mai stato etichettato come comunista.
Perché? «Quell'etichetta non poteva toccarlo. Lui per primo era vittima del sistema marxista creato nel dopoguerra. In ogni caso a un uomo di Chiesa non si possono applicare le categorie di destra o sinistra, è riduttivo e improprio. Semmai ci sono le etichette se il suo modo di agire è evangelico oppure no, ma il comunismo lo lascerei da parte».

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