Il cardinale Filoni parla del Natale e anticipa il viaggio del Papa in Iraq per la pace tra sciiti e sunniti

Il cardinale Filoni parla del Natale e anticipa il viaggio del Papa in Iraq per la pace tra sciiti e sunniti
Il cardinale Filoni parla del Natale e anticipa il viaggio del Papa in Iraq per la pace tra sciiti e sunniti
di Franca Giansoldati
Mercoledì 23 Dicembre 2020, 09:47 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 05:58
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Città del Vaticano – Imparare ad alzare lo sguardo verso il cielo, allenarsi a fare sentire meno solo chi è lontano e aiutare chi è vicino. Un piccolo gesto può scaldare il cuore e racconta meglio il Natale al tempo del Covid, uno dei più duri dai tempi della Guerra. «Quest'anno persino la cittadina di Betlemme sarà terribilmente vuota e senza nessuno». Il cardinale Fernando Filoni da questa crisi intravede cose positive. «E' possibile coltivare speranza con una visione soprannaturale delle cose. Il Natale deve essere dentro di noi». Dal quartier generale dell'Ordine del Santo Sepolcro, formidabile osservatorio internazionale, dal quale dipendono scuole, università, seminari, istituti in Terra Santa, intravede già due fatti positivi da tenere sotto osservazione che potrebbero cambiare il mondo: il Patto di Abramo – siglato da Israele con alcuni paesi arabi – e l'annunciato viaggio in Iraq di Papa Francesco che potrebbe fare da ponte a relazioni meno burrascose tra sciiti e sunniti. Praticamente un miracolo.

E' difficile fare i conti con un Natale così duro... 

«Le persone di una certa età ne hanno vissuti di Natali difficili ai tempi della guerra, e anche dopo, benché vi fosse il grande desiderio di ricostruire la vita. Se andiamo a vedere quei 25 dicembre non c'erano le palline dorate da mettere sugli abeti, si mettevano le mele, i mandarini, le arance. Non c'era altro. Il presepe era fatto da statuine di terracotta, i dolci erano quelli che si facevano in casa e si scambiavano con i vicini. I regali potevano essere il maglione di lana fatto coi ferri.

Per chi ha vissuto quei Natali il paragone affiora. Stavolta potrebbe essere l'occasione per rivedere quello che è essenziale. La gioia è fatta di piccole cose. Penso a un invito fatto al vicino, il tempo donato ad un anziano o a chi è solo. Penso anche che questo Natale ci spinga a non essere miopi, a guardare più lontano, alzare lo sguardo al cielo. Osservare meglio quello che ci circonda, anche fuori ai nostri soliti confini esistenziali».

Natale per tante persone non sarà facile. C'è chi ha perso il lavoro, la salute, chi è solo e non sa su chi poter contare. Stavolta in giro c'è disperazione... 

«Mi viene in mente il Vangelo di Luca, quando dice ai discepoli che stavano litigando su chi di loro fosse più importante: io sto in mezzo a voi come uno che serve. Significa che Dio è sempre accanto a noi, anche nei momenti difficili, bui. Che cosa è il Natale dunque? E' un fatto che entra nella nostra realtà umana. E' qui entra in gioco la speranza. L'uomo non può camminare sempre guardando per terra, dobbiamo alzare gli occhi ed è qui che le nostre capacità si aprono a una dimensione spirituale. La fede è la fiducia che si pone in Dio. Se da una parte si alza lo sguardo, dall'altra c'è Dio che si rivela». 

A proposito di fiducia, in un anno si è sgretolato tutto il nostro mondo di certezze e in questo momento si spera in un vaccino davvero efficace. Lei si vaccinerà?

«Ho fatto la prenotazione in Vaticano. Sarà a gennaio ma non ci hanno ancora fissato una data. Viviamo tutti con la fiducia che possa funzionare. La scienza dice che sarà efficace al 95 %, e allora fidiamoci. Se alla base delle nostre relazioni umane non c'è un atto di fiducia finisce che restiamo tutti isolati, gli uni agli altri, e saremmo finiti» 

Ne usciremo da questa crisi?

«Papa Francesco ha di recente parlato di due aspetti fondamentali per analizzare questi tempi complessi. Ha parlato di crisi e di contrapposizione. La crisi è una occasione di verifica e porta in sé normalmente a una crescita, a una positività. La contrapposizione implica uno scontro, una logica di perdere-vincere e quindi il prevaricare. Personalmente vedo che questa pandemia, accanto ai tanti drammi, abbia sprigionato anche cose buone. Per esempio ha fatto capire che per troppo tempo gli anziani hanno vissuto una dimensione di spaventosa solitudine anche se avevano una famiglia alle spalle. La crisi – volente o nolente - ci sta facendo capire che per troppo tempo li abbiamo abbandonati e che bisogna cambiare direzione». 

Qualcuno potrebbe chiedersi ma in questa pandemia dove è Dio?

«Dio non se ne è mai andato. Egli continua ad essere presente. Sta sulla croce e non è mai sceso anche se, tante volte, vorremmo mettere quella croce in un angolo e dimenticarla. Ma la croce significa che Dio è con noi, nelle nostre sofferenze nei nostri drammi, silenzioso, capace di accettare anche il bestemmiatore che, accanto a Gesù crocifisso, lo offende. Allo stesso modo è capace di stare accanto all'altro ladrone che dice: ricordati di me quando sarai nel Regno dei Cieli. E' vicino a chi si converte ma anche a chi resta isolato». 

Sbagliato, allora, lamentarsi per quello che sta succedendo?

«Lamentiamoci pure se aiuta. Ma non tiriamo conclusioni utilitaristiche, semmai andiamo verso gli altri, a chi sta male, sosteniamo gli anziani, doniamo tempo, ascoltiamo chi è in difficoltà, non chiudiamoci nei nostri mondi di prima. Alziamo gli occhi. Cerchiamo di non essere miopi. Ho ascoltato alla radio che un gruppo di ragazzi di un paesino del Nord Italia si impegnano per andare a recitare poesie agli anziani che non possono muoversi. C'è bisogno di piccoli gesti di grande affettività. La gente che soffre dice: grazie. Serve riscoprire l'umanità. Mi ha commosso l'abnegazione di tanti ricercatori che si sono messi a studiare per il vaccino e sono sicuro che per tanti non era solo una questione di denaro. La disponibilità dimostrata andava ben oltre. Fare un dono fa regala più gioia a chi lo fa che non a chi lo riceve. Tutto questo prima del Covid non era così evidenziato. Ora i drammi si vedono meglio. Ma è altrettanto grande la sensibilità che sta crescendo attorno a noi. Non è tutto negativo. Non è tutto perso. Tanti aspetti stanno emergendo. Il Natale è anche questo. Rinascita».

Lei è a capo di un Ordine (Equestre del Santo Sepolcro) dal quale dipende la vita materiale di tutte le scuole, università, seminari, dispensari che sono in Terra Santa. A Betlemme il Natale stavolta è terribile, tutto chiuso, sembra una cittadina spenta. Tra l'altro l'emorragia dei cristiani sembra inarrestabile.. 

«E' una realtà in Palestina ma anche in Giordania, Iraq, Siria. In Terra Santa la crisi è stata prodotta dalla mancanza di pellegrinaggi, di turismo, di profilassi medica, di certezze. Eppure in questo quadro complesso io non vedo solo aspetti negativi».

Per esempio?

«E' interessante il Patto di Abramo. Sono vissuto in medio oriente per decenni per dire che si tratta di un aspetto da guardare davvero con una certa speranza». 

Qualcosa di buono lo ha fatto anche Trump allora...

«E' un percorso, vediamo se funziona per portare sollievo in quella zona del mondo. Il patto di Abramo nasce dalla consapevolezza che bisognava superare le divisioni politiche. Nasce anche da un altro passo importante (e meno noto) che riguarda le relazioni tra religioni, tra ebrei e musulmani. Mi riferisco all'accordo sulla Fratellanza che è stato firmato da Papa Francesco ad Abu Dhabi, negli Emirati». 

Il Papa vuole andare in Iraq a marzo, secondo lei riuscirà con la pandemia che avanza?

«Nell'annuncio fatto si specifica che dipenderà dalla situazione. Ma già il fatto che il Papa abbia programmato una data, per gli iracheni è una speranza di vita. L'Iraq vive internamente ancora tanti drammi. Per esempio la divisione tra sciiti e sunniti iniziata dopo la morte di Maometto con l'uccisione del nipote Ali. Sono 15 secoli che si combattono».

Pensa che la visita del Papa possa favorire un gesto di riavvicinamento tra sciiti e sunniti?

«Il Papa non risolverà ovviamente il problema dentro l'Islam. Ma iforse c'è spazio per sperare che anche all'interno dell'Islam si cominci a parlare. Perché non potrebbe accadere? Servirebbe una forma di ecumenismo da sviluppare tra musulmani. Un po' come noi cattolici facciamo con i nostri fratelli cristiani».

Il Papa potrebbe davvero costruire ponti tra sciiti e sunniti?

«Noi li incoraggiamo, se possiamo dire o fare qualcosa. Il fatto che vada li, è un passo importante nell'Iraq dove è marcata la divisione tra sciiti e sunniti. Prima o poi si dovrà rinunciare alla contrapposizione. La crisi fa crescere, la contrapposizione produce solo negatività». 

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