Pedofilia nella chiesa, «Quel parroco orco abusò di mio figlio. È rimasto in oratorio»: la denuncia di una mamma a Milano

La violenza nel 2011 in una parrocchia di Rozzano, nell'hinterland milanese: "Credevamo di essere al sicuro"

Pedofilia nella chiesa, «Quel parroco orco abusò di mio figlio. È rimasto in oratorio»: la denuncia di una mamma a Milano
di Franca Giansoldati
Lunedì 14 Febbraio 2022, 06:28 - Ultimo agg. 15 Febbraio, 11:20
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«Il problema nella Chiesa italiana era ed è sistemico. Io l'ho sperimentato come mamma di un figlio abusato da un prete, e in seguito anche ascoltando altre vittime. Il meccanismo di insabbiamento non è cambiato». Cristina risponde al telefono dalla sua casa nell'hinterland milanese. Ha una voce pacata e gentile. È ora di cena, sta cucinando, una famiglia normale, cattolicissima, lei caposala, il marito cuoco, due figli che studiano e un calvario alle spalle. Naturalmente ha letto a fondo la lettera-testamento di Papa Ratzinger nella quale, in un passaggio, emergono le falle e di come troppo spesso le autorità ecclesiastiche hanno dormito, proprio come fecero gli apostoli quando Cristo era nell'Orto degli Ulivi, ignorando il grido sofferente di chi chiedeva aiuto. Un po' come è accaduto a suo figlio quando era un adolescente e frequentava gli scout alla parrocchia di Rozzano.

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I FATTI
I fatti mamma Cristina li ha raccontati senza tregua decine di volte, li ha persino sviluppati per iscritto, verbalizzando il dolore sordo di chi non viene creduta.

Più volte si è trovata di fronte ad un muro di gomma. «Noi davamo per scontato che loro sapessero cosa fare e inizialmente non avevamo nessun dubbio. Siamo cattolici praticanti e avevamo una fiducia incrollabile nelle autorità ecclesiastiche». Il loro a cui fa riferimento la signora sono i vertici della diocesi di Milano, al quale lei e il marito si rivolsero immediatamente dopo l'episodio di violenza. Era il 2011. «A distanza di tempo, con il senno di poi, non denuncerei più il fatto alla Chiesa ma andrei subito alla polizia. Alle mamme lo dico sempre: prima la denuncia va fatta in Procura e poi, eventualmente, si parla con il parroco, ma mai viceversa come facemmo io e mio marito. Fu un errore, un patimento inutile». Cristina fu costretta a rivolgersi alle autorità civili, quattro anni dopo i fatti, venendo a conoscenza da amici comuni che il prete che aveva violentato il figlio in oratorio, era stato spostato in una altra parrocchia, situata a trenta chilometri di distanza, ed era stato messo di nuovo a contatto con dei ragazzini. «Non abbiamo avuto alcuna incertezza sul da farsi. Abbiamo capito che la Chiesa non avrebbe fatto nulla e così ci siamo rivolti alla polizia. Non lo facemmo subito perché pensavamo da buoni cattolici di avere giustizia attraverso le strutture canoniche. Fu una via crucis. Subito dopo la violenza io e mio marito contattammo il parroco, il quale avvertì l'allora vescovo vicario della zona, l'attuale arcivescovo di Milano, Mario Delpini che venne a far visita alla nostra parrocchia. Poco dopo il prete fu allontanato da Rozzano. Parlammo anche con un altro funzionario della diocesi, monsignor Tremolada, attuale vescovo di Brescia che ci ringraziò per non essere andati dalla polizia. All'epoca avevamo fiducia e non coltivavamo dubbi, fino a quando non abbiamo saputo che don Galli era stato trasferito e rimesso a gestire oratori. Per farla breve, capimmo che fino a quel momento non era stata fatta nessuna indagine previa come avrebbe prescritto il codice canonico. Era il 2014».

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LA CONDANNA
Don Mauro Galli, in seguito, fu condannato in primo e secondo grado dal Tribunale di Milano per violenza sessuale nei confronti di un minore. Il ragazzino ha dovuto affrontare una lunga psicoterapia, tra alti e bassi, e ha persino tentato di togliersi la vita. «Il nostro caso è emblematico e dimostra che nonostante i proclami enfatici alla Chiesa non importa tanto delle vittime, semmai preferisce difendere la reputazione della istituzione. Basti dire che l'indagine previa la diocesi di Milano la ha iniziata solo dopo che noi ci siamo rivolti alla Questura, nel 2014, e non prima. Inoltre io e mio marito abbiamo scritto lettere accorate prima a Benedetto XVI e poi a Francesco ma nessuno ci ha mai risposto. Voglio aggiungere che il mio non è affatto un discorso giustizialista. Non sono mai uscita dalla Chiesa. Semmai voglio rimanerci ma in una Chiesa diversa. Mi auguro che la lettera-testamento di Ratzinger dia una scossa, è davvero l'ultima occasione per la Chiesa italiana».

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