Paola Turci: «Ho sfiorato la morte ma ora sono "Viva da morire"»

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di Simona Orlando

Dopo aver superato L'ultimo ostacolo al Festival di Sanremo, Paola Turci racchiude pezzi di vita nelle dieci tracce del nuovo disco Viva da Morire, in uscita il 15 marzo, prodotto da Luca Chiaravalli e realizzato con una schiera di autori, tradotto in un live che toccherà Milano (Teatro degli Arcimboldi) il 13 maggio, Roma il 20 maggio (Auditorium Parco della Musica), poi il via del tour nei teatri italiani da novembre. In questo 15esimo lavoro c'è la Turci adolescente, lei adulta che riparte dopo le catastrofi, lei oggi, a 54 anni, che esprime desideri per il futuro. Con il rapper Shade duetta in Le olimpiadi tutti i giorni, ode al quotidiano allenamento per stare bene, Nek firma Non Ho mai, «contro la sudditanza e gli yes men, un invito a essere se stessi, soprattutto quando significa opporsi». Le ballate si alternano a sonorità contemporanee, la title track, scritta in parte dal rapper Pula, la allontana dalla canzone d'autore.

In Viva da morire ci sono sonorità inconsuete. Voglia di confrontarsi con nuovi generi e generazioni?
«Molta ma parto sempre dalle canzoni, mai dalle mode. Anche se strizzo l'occhio al rap, lo faccio a modo mio. So che qualche fan storico non apprezzerà. Era un pezzo destinato a J-Ax ma l'ho sentito mio. Questa vita voglio morderla finché non mi mangia è il mio stato d'animo e una dichiarazione d'intenti».

C'è un mugugno alla Young Signorino. Le piace?
«So chi è ma non l'ho mai ascoltato. Quando ho presentato il brano a mia nipote, mi ha sgridata: Zia, ma hai fatto una cosa alla Dark Polo Gang!. Mi sono divertita a mugugnare. Ho anche fischiato per la prima volta, ho azzardato andando in luoghi a me sconosciuti, dove mi si rompe la voce».

L'andamento è circolare. Parte dal brano festivaliero che parla di suo padre scomparso e chiude con Piccola, in cui ancora lo aspetta.
«È una figura che mi tiene per mano. Sono combattiva ma anche piccola, di statura, nell'universo. Le esperienze dure mi hanno reso meno leggera e costretto ad essere forte. Sono il frutto della vita che ho vissuto».

Come si immaginava da grande?

«Non riuscivo a vedermi adulta, ma ricordo bene com'ero: ingenua e sognatrice, lo sguardo rivolto con timidezza ai ragazzi carini e la chitarra addosso, sulle scale della casa al mare. Lo strumento era il mio unico giocattolo e mi bastava».

Rolling Stones e Patti Smith nelle cuffie mentre guidava la Vespa.
«Dai 3 ai 16 anni ascoltavo Franco Battiato e Pino Daniele. Poi l'illuminazione rock. Mi chiamavano Patti perché ero uguale alla Smith. Mostravo la copertina di Easter a mia madre e pensava fossi io, così emaciata, aspetto quasi tossico. Ho vissuto pienamente la mia crisi esistenziale adolescenziale. La musica mi salvava, mi piaceva il dramma».

Poi il dramma vero, un incidente stradale che l'ha segnata. Bisogna sfiorare la morte per apprezzare la vita? «Basta un inciampo a distruggere un'esistenza. Se recuperi, capisci il miracolo che siamo. Da qui il mio volere volare».

Il suo punto di vista femminile è molto presente. Cosa pensa degli insulti sessisti rivolti ad Emma dal consigliere leghista Galli?
«La società ha alzato l'asticella, abbassarla al primitivo è indecente. Ci sono uomini vigliacchi e minuscoli e donne coraggiose, forti, umane. E detesto che siano ricordate solo l'8 marzo con una festa a base di pizza e giga gratis».

"Io l'amore no" parla del suo non essere tagliata per i sentimentalismi?
«Ho sempre trovato poco interessanti i brani che parlano di amore di coppia, quel lasciarsi e riprendersi sono momenti temporanei, io invece vedo la canzone come il racconto di un amore cosmico inalterabile, come fra padre e figlia, fra zia e nipote».

Però Dio come ti amo la commuove.
«Un capolavoro assoluto di Modugno, semplice e senza retorica. Mi ha indotto a scrivere di un amore sacro in Piccola canzone d'amore, che cantai al funerale di mio padre, e mi ha fatto incontrare Beppe Fiorello. La cantai con lui nel suo spettacolo su Modugno».

In L'arte di ricominciare, inizialmente ispirata alla storia di Lucia Annibali, sfigurata con l'acido, parla di perdono. Lei cosa si è perdonata?
«Di non aver perdonato qualche volta, il che mi ha impedito di proseguire. Bisognerebbe conquistare la tenerezza. Quando la provi per chi non riesci a perdonare, hai già cominciato a farlo».