Paolo Sorrentino: «The New Pope mi ha maturato come regista»

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di Gloria Satta

VENEZIA
Paolo Sorrentino non vince soltanto l'Oscar, fa anche i miracoli: in The New Pope, la nuova travolgente serie presentata tra gli applausi (otto minuti con standing ovation) in anteprima mondiale alla Mostra, il regista napoletano, 49, resuscita Papa Lenny Belardo (Jude Law) finito in coma alla fine della prima stagione The Young Pope, successo in 154 Paesi. E lo mostra più sexy che mai in slip bianco sulla spiaggia in mezzo a belle ragazze che, schiantate dal carisma del primo e unico pontefice americano della storia, stramazzano al suo passaggio. «Ma il nudo è ben distribuito in tutti e 9 gli episodi, in nome della par condicio: appaiono senza veli uomini, donne e pure animali», ha scherzato al Lido Sorrentino, circondato dai suoi magnifici attori: Law, John Malkovich (il nuovo papa baronetto e dandy), Silvio Orlando, Cécile De France, Ludivine Sagnier, Xavier Camara. Colpi di scena, invenzioni narrative e visive a raffica illuminate da Luca Bigazzi, evoluzione dei personaggi: basti pensare che il mefistofelico cardinale Voiello (Orlando) viene pensionato mentre la direttrice del marketing vaticano (De France) rivela un'inaspettata sensualità. Produzione originale Sky, Hbo e Canal +, prodotta da Wildside con Haute et Corut Tv e The Maediapro Studio, The New Pope si vedrà nel 2020 su Sky Atlantic.
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In questa nuova stagione un papa muore a pochi giorni dall'elezione, due pontefici devono convivere, il terrorismo attacca il Vaticano: far riferimento alla realtà era irrinunciabile?
«Non c'è niente di irrinunciabile, ma questa volta mi sembrava interessante uscire dal chiuso del Vaticano per confrontare la saggezza della Chiesa con l'emotività del mondo contemporaneo. Bellissimo incontro-scontro».
 

È il fondamentalismo islamico il vero pericolo dei nostri tempi?
«Non solo quello ma tutti i fondamentalismi che, almeno a me, sembrano essere dietro l'angolo».

Dopo quattro anni dedicati a realizzare le due serie, cosa ha imparato sulla Chiesa?
«A rispettarla molto di più, superando la spinta anti-clericale della mia giovinezza. Più invecchio e più capisco che, malgrado i difetti e le aberrazioni tipiche peraltro di qualunque... albo professionale, la Chiesa sa essere molto intelligente nell'opporre la lentezza alla velocità contemporanea».

Cosa intende?
«La Chiesa opera una mescolanza strabiliante tra il mistero e la ragione, il rispetto e l'emotività che il mondo declina in quelle derive fasciste da cui proprio il centro della cristianità rimane immune, pur essendo una tirannia».

Cosa rende unici gli attori che ha scelto per The New Pope?
«Non solo il talento, ma anche la loro capacità di fare squadra. E la disponibilità a trasformarsi. Carmelo Bene diceva che non servono attori bravi ma attori fuori di sé. Io li ho trovati».

Perché ha ambientato una parte delle riprese a Venezia?
«La vita è breve e bisogna stare il più possibile nei luoghi belli».

Confrontarsi con la lunga serialità cosa ha aggiunto alla sua carriera?
«Dal punto di vista pratico, realizzare The Young Pope e The New Pope mi ha insegnato a fare il regista».

Dopo nove film e l'Oscar vinto per La grande bellezza, aveva ancora bisogno di imparare?
«Il lungo e impervio lavoro nelle serie mi ha fatto capire che posso gestire ogni difficoltà insita nel mio mestiere. Ormai sono pronto a parare tutte le insidie e il colpi che mi aspettano sul set».

Si sente dunque preparato a iniziare a Los Angeles le riprese del film Mob Girl con Jennifer Lawrence nel ruolo di Arlyne Brickman, la moglie di un mafioso poi diventata informatrice della polizia?
«A lavorare con Jennifer sono preparato da una vita: la considero la migliore attrice in circolazione».

Alla vigilia del primo ciak, sapendo che passerà in America i prossimi mesi, qual è il suo stato d'animo?
«Entusiasmo. Ho sempre voluto girare un film che avesse per protagonista una donna, raccontare la mafia americana e lavorare con Jennifer. Mob Girl esaudisce tutti i miei desideri. Ed è fantastico».