Covid, seconde dosi al via. La prima vaccinata Paola Perugi: «Solo così possiamo vincere»

Paola Perugi alla vaccinazione
Paola Perugi alla vaccinazione
di Luca Telli
Lunedì 18 Gennaio 2021, 11:41 - Ultimo agg. 11:43
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Del Covid odia «le vite che si è preso e gli abbracci che ci ha strappato». Del Covid dice «che non sarà facile ma che alla fine vinceremo» e «che l’unica arma per metterlo in ginocchio è il vaccino». Versi sciolti che guardano al futuro quelli di Paola Perugi, di chi sente i battiti nelle tempie dell’ultimo miglio in una osmosi tra fatica e glicogeno che torna a gonfiare i muscoli.

 I suoi capelli corti insolitamente turchini sono una metafora di come interpreta la vita. La spiegazione è una cesura immediata che riprende poi con un altro punto di domanda «Perché no?». «Se vi interessa – aggiunge – ho anche una bella quantità di tatuaggi fatti ben oltre la mezza età»

 Lei che per prima il 28 dicembre nella Tuscia ha ricevuto il vaccino e che oggi alle 9.30 si candida, con la seconda dose in una stanzetta spoglia e inadeguata per la portata del momento, a diventare una delle prime immunizzate della provincia. «Per avere la certezza dovremo fare un esame a sette giorni dall’iniezione – spiega – Sarà un primo passo ma non ancora la fine. Ricevere il vaccino non autorizza a comportamenti fuori le righe. Il rispetto delle regole è, prima che un gesto di tutela, un atto civico».

 Dell’ago che spaventa una parte della popolazione «e che anche nella nostra provincia è ben rappresenta tra i meno giovani e non solo»non ha avuto paura. Ai no vax o a quelli che semplicemente preferiscono aspettare «perché un antidoto uscito da una laboratorio  in dieci mesi non ha le garanzie di uno testato in un trail lungo 36 mesi»  risponde «che la scienza va avanti e che i tempi, per fortuna di tutti, si abbreviano».

E poi «Che la scienza è un’amica e che tutto il resto, l’empirismo da scatola dei cioccolatini come gli scienziati da tastiera lasciano il tempo che trova. Di microchip, nel mio corpo, ancora non ne hanno trovati».

Tanto che quando i primi moduli per candidature al vaccino sono arrivate dal Ministero ha firmato. Il motivo spinto dalla logica. «Da 40 anni faccio questo, mi sposto da un punto all’altro della Tuscia per mettere in sicurezza le persone da quelle che una volta erano nemici invincibili e che ora sono solo ombre sotto il letto». Esempio la sua parole chiave. «E autotutela – aggiunge scherzando – perché a 65 anni sono con tutti e due i piedi in quella fascia di persone che l’istituto superiore di sanità e le statistiche dicono a rischio».

La sua storia d’amore con le corsie degli ospedali inizia nel 1974, la scuola a Roma, poi una pausa «romantica» per il matrimonio e figli ripresa nel 1980. Della pensione dice che «ci andrà quando l’anagrafe presenterà il conto e che la cosa più bella è vaccinare oggi i piccoli dei bambini che ha conosciuto con lo sguardo 4 decenni fa». Il tempo, dono prezioso, che il virus ha messo sotto vuoto. «Quelle per una cena, per una serata con gli amici, per un caffè senza la paura nella gambe». E di cui riappropiarsi. Liberi da un’epidemia che oggi sembra avere, un po’ di più, una data di scadenza.

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