Biennale di Venezia, solo l’arte non è straniera

Al via la sessantesima edizione firmata dal brasiliano Pedrosa

Una immagini dell'installazione di Massimo Bartolini chiamata «Due qui/To hear» alla Biennale di Venezia
Una immagini dell'installazione di Massimo Bartolini chiamata «Due qui/To hear» alla Biennale di Venezia
di Lorenza Fruci
Sabato 20 Aprile 2024, 08:00 - Ultimo agg. 21 Aprile, 09:01
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«Stranieri ovunque – Foreigners everywhere»: è il titolo della sessantesima Biennale di Venezia che si apre oggi, curata da Adriano Pedrosa, direttore artistico del museo di arte di San Paolo, Brasile, dal 2014. L’ultima del presidente Roberto Cicutto, inaugurata dal suo successore Pietrangelo Buttafuoco che parla del tema come di una «vertigine dell'ignoto» e del lavoro di Pedrosa come di una «bussola che ci consente di interpretare il paradigma a cui siamo chiamati, che non è quella di un'epoca di cambiamento ma un cambiamento».

Il curatore, infatti, ha concepito la sua Biennale come «una celebrazione dello straniero, del lontano, dell’outsider, del queer e dell’indigeno» e ha invitato a esporre 331 artisti di 80 paesi diversi, privilegiando coloro che non avevano mai partecipato alla mostra.

Stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, esiliati o rifugiati, che si muovono tra il Sud e il Nord del mondo, hanno restituito la loro esperienza con pitture, tessuti, lavorazioni artigianali tramandate da legami parentali, iconografie tradizionali rilette in chiave critica. La migrazione e la decolonizzazione sono le tematiche chiave, in una costante messa in scena di un irrisolto senso di colpa dell’Occidente nei confronti del resto del mondo. 

L’esposizione presenta anche un nucleo storico, composto da opere del ventesimo secolo provenienti dall’America Latina, dall’Africa, dall’Asia e dal mondo arabo per approfondire i modernismi del Sud globale, con un focus dedicato anche alla diaspora artistica italiana, con opere di artisti nostrani che hanno viaggiato e si sono trasferiti all’estero integrandosi nelle culture locali. 

Quindi «Stranieri ovunque» (titolo tratto da una serie di opere realizzate dal collettivo Claire Fontaine a partire dal 2004) dovunque ci si trovi, ma anche indipendentemente dai luoghi perché si può essere stranieri a sé stessi e agli altri. Su questa dimensione più intima e introspettiva si è sviluppato il Padiglione Italia alle tese delle Vergini in Arsenale, che presenta il progetto «Due qui/To hear» dell’artista Massimo Bartolini, a cura di Luca Cerizza, che include contributi di altri artisti.

L’artista, noto per la varietà di linguaggi e materiale che adotta nella sua pratica, oltre che docente di arti visive presso la Naba di Milano e l’Accademia di Belle Arti di Bologna, presenta un percorso in tre atti che si sviluppa in due direzioni equivalenti verso un nucleo centrale.

Gli alberi del giardino delle Vergini e la statua in bronzo nella tesa 2 di un Bodhisattva Pensieroso, tipica dell’iconografia buddista, introducono come un principio di natura e di spiritualità.

«Il Bodhisattva è una figura che mi ha sempre affascinato, perché è un individuo che non agisce, ma riflette», evidenzia Bartolini. La statua sta seduta a pensare all’inizio di una lunga colonna poggiata a terra, che alla fine della sua struttura svela la sua vera natura di canna d’organo con una «bocca» che produce un suono prolungato. 

Nello spazio del Giardino delle Vergini risuona invece tra i rami degli alberi la musica di un coro per tre voci, campane e vibrafono, composta dal musicista inglese Gavin Bryars.

Dai giardini e dalla tesa 2 si raggiunge la tesa 1 dove si trova il cuore dell’esperienza proposta da Bartolini: una grande installazione sonora, attraversabile dal pubblico, l’ultima e la più imponente di una serie che l’artista ha ideato negli ultimi anni. 

La struttura, che ha la pianta di un giardino barocco all’italiana, è composta da ponteggi al cui interno ci sono dei rulli a motore che, come grandi carillon, suonano all’unisono la composizione scritta da Caterina Barbieri e Kali Malone. L’artista modifica l’uso dei materiali e li fa suonare come un organo, dando vita ad un «edificio sonoro». La musica si può ascoltare in forma stereofonica solo al centro della struttura, dove (al posto della tipica fontana del giardino all’italiana) c’è una scultura circolare sulla quale ci si può sedere. Lì si materializza l’incontro con l’altro, ritrovandosi nella posizione di potersi ascoltare: ecco il senso del superamento del concetto di straniero.

«È stato un progetto scelgo con il cuore. Bartolini e i suoi collaboratori ci offrono un’esperienza fisica e metafisica. Un potente invito a viaggiare dentro noi stessi e alla nostra identità che è anche un’apertura verso l’alterita», ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.

A differenza degli anni passati in cui le proposte di Gian Maria Tosatti e del curatore Milovan Farronato hanno diviso molto la critica e gli addetti ai lavori, quest’anno il progetto sembra convincere in maniera unanime (a parte Vittorio Sgarbi ed il sindaco Brugnaro, ieri fischiato), sia per aver saputo sfruttare le potenzialità e i limiti tipici del padiglione, che per avere trovato un modo esperienziale e partecipativo di coinvolgere il pubblico. 

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Oltre all’Italia, sono presenti altre 87 nazioni, le cui opere mettono in luce le differenze e le disparità dettate da identità, nazionalità, razza, genere, sessualità, libertà e ricchezza. Presente anche il Vaticano con il padiglione della Santa Sede presso la casa di reclusione femminile di Venezia alla Giudecca, dove è atteso il Papa il 28 aprile. Protagonista anche l’attualità con la guerra in Medio Oriente: dopo la raccolta di migliaia di firme del gruppo «Art not genocide alliance» per l’esclusione di Israele dalla Biennale, il padiglione di Israele ha deciso che resterà chiuso sino a che non ci sarà una tregua. La Russia non partecipa nemmeno quest’anno e nel suo padiglione ospita la mostra collettiva della Bolivia, mentre l’Ucraina propone una riflessione sullo stato di guerra in cui sta vivendo.

I Leoni d’Oro alla carriera andranno alle artiste Nil Yalter e Anna Maria Maiolino, per la prima volta in esposizione alla Biennale, e per visitare la mostra c’è tempo fino al 24 novembre. 

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