Quando CantaNapoli divenne «americana»

Sciotti ricorda la penultima stagione della melodia verace

Antiche Piedigrotte
Antiche Piedigrotte
di Federico Vacalebre
Sabato 3 Giugno 2023, 08:35 - Ultimo agg. 15:24
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Come spesso si usa, chi era rimasto fuori dal business urlava alla svendita della napoletanità. Chi era stato coinvolto provò a dare un senso a un'operazione glocal ante litteram. Come spesso succede, avevano ragione (e torto) un po' tutti e due gli schieramenti.

Già nel 1911 una casa editrice tedesca, la Polyphon, mise le mani sulla canzone verace: le concorrenti Santojanni, Maddaloni, Izzo, Cottrau & Co furono quasi rase al suolo, grazie a lauti contratti di esclusiva con le stelle del firmamento autoriale di casa nostra, a partire dal direttore artistico Ferdinando Russo. Un monopolio che durò quattro anni, sino al 1915, quando Massimo Weber dovette fare ritorno a Lipsia a causa dello scoppio della prima guerra mondiale.

Intanto, l'America degli emigranti era affamata di nuove canzoni, la cui esportazione era stata bloccata dai contratti Polyphon. CantaNapoli si riorganizzò, Emilio Gennarelli e Francesco Feola fondano La Canzonetta, lanciarono «'O surdato nnammurato» e «Tu ca nun chiagne» e rianimarono il settore, anche sul fronte export, grazie ad un accordo con la Italian Book Co di New York, sede a Mulberry street, il cui boss, Antonio De Martino, aveva deciso di investire sul settore, tanto che nel 1923 inaugurò la sede della casa editrice Santa Lucia in via Cisterna dell'Olio, direttore artistico Francesco Buongiovanni, Vincenzo D'Annibale supervisore generale.

È questa storia che Antonio Sciotti racconta in La canzone napoletana d'America, titolo provocatorio quanto intrigante dell'ennesimo volume dei suoi studi sul settore pubblicato da Arturo Bascetta editore (pagine 175, euro 35). Dal 1923 al 1934, come sempre preferendo i documenti allo stile, Sciotti, studioso e figlio d'arte (prezioso, come sempre, l'accesso agli archivi di papà Alberto) ricostruisce una vicenda insieme provinciale ed internazionale.
De Martino era un emigrante napoletano che aveva cercato e trovato fortuna grazie alla Italian Book Compay, megaemporio che vendeva spartiti musicali, libri, strumenti musicali, dischi, grammofoni... Prima aveva fatto i soldi importando da Napoli i successi canori napoletani, poi aveva deciso di mettere le mani su quel tesoro. «Il suo linguaggio è un miscuglio di dialetto, di italiano e di inglese», spiegò Bovio, che divenne direttore artistico della Santa Lucia nel 1924. «Il Mattino» e «Il Roma», come tutta la stampa napoletana non gradivano, se Weber era «un venditore di calzini», De Martino era «anch'egli commerciante, non sappiamo di che, di libri forse o di scarpe».

Lui mise in campo anche una casa discografica, la Klarophone, che funzionò poco e male, ma fu don Liberato a regalargli il successo, a dargli le chiavi per conquistare il mercato locale.

Nel 1924 l'autore riportò subito il sommo Salvatore Di Giacomo, e con lui Ferdinando Russo, a una Piedigrotta, quella Santa Lucia si intende. L'anno successivo lanciò tre brani destinati a diventare classici, a conquistare i palcoscenici e gli schermi cinematografici: «Lacreme napulitane» (Bovio/Buongiovanni) cesellata da Pasquariello, «'E ppentite» (Bovio/Albano) affidata a Elvira Donnarumma e «'O paese d''o sole» (Bovio/D'Annibale) che rivelò il talento di Lida Leda. Il 1926 fu un fallimento, nonostante il ritorno alla canzone di Ernesto De Curtis, il 1927 la Piedigrotta fu dedicata allo scomparso Ferdinando Russo, nel 1928 il divo Gabrè sfondò con «Tarantella scugnizza» (Bovio/Albano), mentre negli Stati Uniti piacque «L'americana e Napule» (Scala/Albano) grazie a Ria Rosa e alla particolare attenzione per il repertorio sull'emigrazione. La Piedigrotta 1929 vide insieme Santa Lucia ed edizioni Gennarelli e l'esplosione di «Zappatore» (Bovio/Albano) grazie alla prova di Pasquariello, anche se il pubblico dell'Alhambra fu affascinato anche da Evelyn Dove, cantattrice britannica di origine africana che due anni prima aveva già impazzato all'Eldorado con «Il teatri dei negri» (sic) ed ora si cimentava con «'O marenariello» e «Marechiaro».

Nel 1930 don Liberato si chiamò fuori dalle Piedigrotte, «E figlie» (Bovio/Albano) fu uno dei suoi rari successi non lanciati dalle audizioni. L'anno successivo fu costretto a fare retromarcia, tornò sul campo, ingaggiò i tre De Filippo (Eduardo cantava pure: le macchiette «Le voglie di mia moglie» e «Cruvatte, signori!») e Anna Fougez, ma non trovò nessuno che volesse proporre «Signorinella» (Bovio/Valente): non sempre i cantanti hanno fiuto, il brano divenne un successo lo stesso. Nel 32 ingaggiò le star internazionali Josè Padilla e Lidya Ferreira (allora marito e moglie), nel 33 ancora una Piedigrotta unificata con la Gennarelli e dedica alla scomparsa Donnarumma. Nel 1934 Bovio lasciò la Santa Lucia e costituì la sua casa editrice, la Bottega dei Quattro, assieme a Nicola Valente, Ernesto Tagliaferri e Gaetano Lama, un vero dream team.

De Martino offrì il suo posto a Raffaele Chiurazzi, lo accusò di avergli fatto perdere un sacco di soldi, trovò un ultimo successo con «Zi' munacella mia» (Chiurazzi/Albano), ma non bastò e chiuse i battenti.

All'America cantaNapoli non interessava più, tra poco anche all'Italia. Ma questa è un'altra storia che, c'è da scommettere, Sciotti racconterà tra breve.
 

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