Napoli, sigilli alla pizzeria «dal Presidente»: le mani della camorra sul food e il turismo

Arrestati all’alba il ristoratore Di Caprio, la moglie, il cognato e una commercialista

Sigilli alla pizzeria "Dal Presidente"
Sigilli alla pizzeria "Dal Presidente"
di Giuseppe Crimaldi
Martedì 14 Maggio 2024, 23:40 - Ultimo agg. 15 Maggio, 10:00
5 Minuti di Lettura

Nel locale di via Tribunali “Dal Presidente” si sfornavano pizze, si friggevano calzoni e si riciclava il denaro sporco della camorra. E così, tra una margherita e una marinara, a beneficiarne era il clan Contini, che fa parte del temibile cartello criminale denominato Alleanza di Secondigliano.

Trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio aggravato dal metodo mafioso: con queste pesantissime accuse ieri mattina è finito in carcere Massimiliano Di Caprio, rampante imprenditore che aveva puntato sulla ristorazione acquisendo lo storico marchio che fu di Ernesto Cacialli, reso ancor più noto dopo che, durante il G7 del 1994 a Napoli, ebbe il privilegio di servire al presidente americano Bill Clinton la classica “pizza a portafoglio”.

I nomi

Il quadro fosco di un ampio riciclaggio camorristico emerge dalle indagini svolte dal Gico e dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea.

Cinque gli arresti: oltre a Di Caprio, in cella sono finiti sua moglie Deborah Capasso e suo cognato, Vincenzo Capozzoli; arresti domiciliari, invece, per un ispettore della Polizia di Stato, Guido Albano, e per la commercialista Giulia Nappo. Per tutti, fino a sentenza definitiva di condanna, vale ovviamente la presunzione d’innocenza. Sequestrati beni per tre milioni e mezzo di euro, e da ieri mattina sigilli anche al noto locale nel cuore del centro storico di Napoli.

I pentiti

Ad avviare l’inchiesta sono state le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, a cominciare dal noto capo ultras del Napoli Gennaro De Tommaso, meglio noto come “Genny ‘a carogna”. È lui che, tra gli spunti offerti agli inquirenti, aprirà un promo varco investigativo raccontando che la pizzeria “Dal Presidente” era in realtà riconducibile ad esponenti della criminalità organizzata napoletana. «Originariamente - ha spiegato De Tommaso ai pm della Dda - Ernesto Cacialli oggi deceduto era uno dei soci della pizzeria “Di Matteo”. Successivamente ne uscì a seguito di una controversia, fondando la pizzeria “Il Presidente”.

Quando Ernesto morì la pizzeria fu rilevata dal figlio Vincenzo. Questi aveva una difficoltà economica, tant’è che venne anche da me a chiedere 30mila euro che non potetti dargli; così si rivolse a Di Caprio per soddisfare questa sua necessità che poi gli permise di entrare a far parte come socio. Successivamente Cacialli cedette le sue quote residue al Di Caprio che è rimasto l’unico proprietario della pizzeria. Recentemente ha anche aperto una succursale del pizzeria sull’isola di Capri, ed è il cognato di Vincenzo “’a Miseria”, affiliato al clan Contini. Che io sappia non ci sono altre note pizzerie facenti capo ad esponenti della camorra». Ad accusare Di Caprio è anche Salvatore Giuliano “il rosso”, responsabile dell’uccisione della povera Annalisa Durante.

Le violenze

Dalle 150 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Giovanni De Angelis emerge un affresco inquietante su come la camorra sia ormai riuscita a insinuarsi nelle pieghe dell’economia legale, inquinandola, ma anche la conferma che la criminalità organizzata riesce ad aggirare leggi e regolamenti con il compiacente aiuto dei cosiddetti “colletti bianchi”. Così i clan fagocitano le imprese e reinvestono i proventi di droga, racket e usura “ripulendo” i loro capitali. E con quei soldi i Contini foraggiavano le “mesate” per i “fratelli ingiustamente carcerati”, e per le rispettive famiglie.

Ma procediamo con ordine. Le indagini coordinate dai pm Ida Teresi, Alessandra Converso e Daniela Varone hanno portato ad un maxi-sequestro di beni per un valore che supera i tre milioni e mezzo di euro. Con il tristemente collaudato sistema delle false intestazioni e di società inserite in scatole cinesi il clan Contini aveva allungato le mani anche sulla ristorazione. Ma non solo.

Qualunque attività imprenditoriale valesse la pena di divorare, la cosca lanciava il suo affondo per rilevarla. Con le buone, ma spesso anche con le cattive. È il caso di quando Massimiliano Di Caprio, con minacce e persino con percosse, costrinse il giovane titolare di un’agenzia di viaggi del centro storico a chiudere i battenti, per poi rilevarla in proprio. Eloquente, in questo caso, un’intercettazione telefonica nella quale sua moglie - ignara di essere ascoltata dai finanzieri - si confida con la commercialista finita ai domiciliari: «Comunque Massimo (Di Caprio, ndr) non si stanca mai di fare le cattiverie... Però poi lui le cattiverie non le vuole da nessuno: pure con l'agenzia di viaggi qua fuori di quel ragazzo... è normale che ha chiuso, quello andò a minacciarlo... scusate quello è un buon ragazzo, quello lavora onestamente e Massimo andava a picchiarlo ogni tanto...».

Video

Secondo l’accusa, il poliziotto finito ai domiciliari - in servizio alla Stradale di Avellino - avrebbe accettato di fare da prestanome per una società che produce e vende alimenti da forno, sempre riconducibile alla camorra: avrebbe fornito un apporto economico, circa 20mila euro, per avviare il panificio (sequestrato) e si sarebbe anche messo a disposizione per risolvere tutte le questioni amministrative finalizzate all'avvio dell'attività commerciale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA