Videogame, challenge e social: 4 minori su 10 “drogati” di Internet

Lo psicologo dell'Asl Napoli 2: «Dilagano le ossessioni, nelle maratone online si consuma cannabis»

Un'immagine dal videogioco Assassin's Creed
Un'immagine dal videogioco Assassin's Creed
di Gennaro Di Biase
Mercoledì 15 Marzo 2023, 00:02 - Ultimo agg. 16 Marzo, 07:30
4 Minuti di Lettura

Quando il virtuale rende impossibile la realtà. Parliamo di internet addiction, con storie di dipendenza che riguardano giovani e giovanissimi napoletani. Casi che, purtroppo, sono sempre più comuni tra i teenager e anche tra gli adulti, che spesso si ritrovano intrappolati in un vortice senza fondo, in cui la vita vera è stata sostituita dall’avatar, dai giochi in multiplayer, dall’ansia da like e follower sui social. «Tutti i minori hanno problemi con Internet: il 15% della popolazione tra i 12 e i 24 anni ha problemi di dipendenza da Internet, fino a coprire il 40% circa delle terapie. Si tratta di ossessione per giochi di ruolo, per i social, per le challenge su TikTok». A parlare è Pietro Scurti, dirigente psicologo e psicoterapeuta al Serd dell’Asl Napoli 2 Nord (diretto da Vincenzo D’Auria, mentre il direttore del dipartimento è Vincenzo Lamartora). 

Fabio, 19 anni, della zona di Arzano, pensa a se stesso come a «Desmond» di Assassin’s Creed, gioco d’azione a tema storico ambientato in un open world. Era allo «stremo», quando è arrivato al Serd, con «18 ore di gioco no stop sulle spalle». Tanto che si era «orinato addosso» pur di non interrompere il videogame. Caratterizzare i personaggi di Assassin’s Creed era in pratica «il suo unico modo di parlare». Fabio, infatti, è figlio di genitori separati in maniera «conflittuale». «In terapia mi sono accorto del fatto che avevo caratterizzato i personaggi del gioco in modo tale che fossero abbinati inconsciamente a mio padre, madre e mia sorella». La comunicazione virtuale che sopperisce alla mancanza di dialogo nella realtà. Grazie alla terapia, Fabio ha fatto passi avanti: «Per tornare ad avere a che fare con mio padre, posso finalmente smettere di essere Assassin».

Alberto ha 24 anni e studia all’Università, in una facoltà umanistica. Gli studi procedono tra alti e bassi: la sua mente è «occupata» da un avatar di D&D, gioco di ruolo che lo assorbe da quando aveva 14 anni. «Nel videogame avevo costruito un mondo alternativo alla realtà, con un personaggio dotato di caratteristiche che a me mancano nel mondo reale. Giocavo tanto che per un periodo ho lasciato gli studi: ero davanti allo schermo dalle 19 alle 3 di notte». L’avatar è diventato un’ossessione. Alberto pensa sempre al gaming. L’avatar è «gender fluid: una donna-uomo aggressiva, capace di prendere decisioni e interagire». Caratteristiche in parte materne e in parte paterne. Li aveva «fusi» in un unico essere, assieme a un se stesso più forte e «libero dalla paura di non soddisfare le loro aspettative». Sono sempre di più le persone che incappano nella «sindrome da like» o «ansia da follower». Se non si è seguiti da migliaia di profili, se si posta qualcosa e le reaction si contano sulle dita di una mano, scattano i pensieri negativi. Tania, per esempio, è una madre sulla trentina e l’ansia da social la porta a ricercare follower su TikTok mostrando i compiti a sua figlia Sofia di 7 anni live sul social. «Non vuole più andare a scuola, perciò l’ho portata in terapia». Col tempo, si comprende il rifiuto della bimba che «si sentiva usata, scompariva ai miei occhi, visto che la mettevo in mostra». Non voler andare a scuola, in sostanza, era un modo per rivendicare una relazione autentica, reale, al posto di una vetrina virtuale. 
 
Video

Una dipendenza tira l’altra. C’è spazio anche per 20enni protagonisti di challenge alcoliche sugli scogli di Mergellina da postare su TikTok, tra le storie del Serd. «Su 10 ragazzi che hanno dipendenze - prosegue Scurti, autore di “Psicoterapia delle dipendenze” - 5 hanno problemi con Internet, social e cannabis. Spesso si consuma cannabis durante le maratone ai videogame. È un vero e proprio poliabuso, ed è sempre più diffuso tra gli over 16 e gli under 24. La pandemia ha implementato la dipendenza da internet. Ci si è rinchiusi nel mondo virtuale, per larghi periodi l’unico davvero accessibile alla popolazione, ma il Covid ha agito su una realtà comunicativa già in crisi. Tanti dei casi che affrontiamo, infatti, derivano da contesti domestici caratterizzati da divorzi, separazioni, o comunque da dialoghi inefficaci. Per questo tanti giovani e giovanissimi si rifugiano talvolta nei loro avatar, in un mondo virtuale in cui possano affrontare questi problemi senza affrontarli per davvero nella realtà».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA