Napoli in 10 fotogrammi: dai mangiamaccheroni allo scudetto

Un percorso fotografico tra storia, cultura e identità napoletana

Paesaggio napoletano visto da Posillipo (foto di Francesco Piccolo)
Paesaggio napoletano visto da Posillipo (foto di Francesco Piccolo)
di Aurora Alliegro
Sabato 19 Agosto 2023, 15:21
8 Minuti di Lettura

Gli occhi degli esseri umani sono come macchine fotografiche. Possono scrutare l’orizzonte, accarezzare la realtà, per poi carpirla, trapassarla e conquistarla attraverso lo sguardo.

Occhi come fotocamere, sguardi come scatti. Fotogrammi come lucidi istanti che folgorano provvisorietà e precarietà per farne durata, prospettive di osservazione, trampolini di lancio.

La fotografia concentra inevitabilmente sulla sua superficie sguardi multipli sul mondo, rappresentazioni dotate del potere di imprigionare e liberare al contempo. Testimonianze storiche imprescindibili per la lettura del passato, strumenti di denuncia in grado di orientare comportamenti collettivi, le fotografie possono anche rivelarsi potenti mezzi capaci di cristallizzare e intrappolare identità, popoli e culture.

Sono questi i piani multipli sui quali si orienterà l’itinerario proposto oggi in occasione della Giornata Mondiale della Fotografia. Un percorso fotografico che non pretende di raccontare Napoli nella sua totalità, ma vuole ripercorrere alcuni degli eventi più significativi che l’hanno coinvolta, valorizzare i personaggi culturalmente più influenti e disvelarne la rappresentazione, alternativamente idealizzata o semplificata sotto forma di stereotipi e topoi.

“I mangiatori di spaghetti” di Giorgio Sommer (1869-1871) 

Fonte: Archivi Alinari, Firenze

Nota anche come “I mangiamaccheroni”, la fotografia di Giorgio Sommer ritrae una scena di genere popolare in cui compare un venditore di pesce, pasta e altri alimenti. La posa dei soggetti, che ricorre anche nei bozzetti di Giorgio Conrad e Alphonse Bernoud, condensa una serie di stereotipi sui napoletani, nella fattispecie sulla cultura gastronomica partenopea.

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Secondo l’antropologo Lello Mazzacane, il quale si è a lungo interrogato sul rapporto tra stereotipo e identità, questo genere di rappresentazione avrebbe concorso alla formazione di «ciò che è “tipico” di Napoli, della napoletanità, di una certa realtà esistenziale». Ne deriva la creazione di un “tipo umano” che si fonda anche su quei generi fotografici (Mazzacane parla di fotografie “cartolina”, “panni sporchi” e “vestito buono”) tesi a restituire una narrazione stereotipata della città, dei suoi costumi e di una parte della sua popolazione.

Cinquanta anni dopo, nel periodo in cui la pasta cominciava ad affermarsi in quanto moda americana di importazione, questa veniva ancora associata con disprezzo alla tradizione culinaria napoletana. Nel più grande atto di accusa contro la pastasciutta, il Manifesto della Cucina Futurista a opera di Filippo Tommaso Marinetti, si parla di «un alimento che si ingozza, non si mastica», una pietanza che che faceva scaturire nel popolo napoletano «il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo».

“Ritratto a mezzo busto della scrittrice Matilde Serao in abiti di Fine Ottocento” di Giacomo Brogi (1890)

Fonte: Archivi Alinari, Firenze

Penna assordante, voce degli abissi, folgore di coraggio, Maltilde Serao fu una scrittrice estremamente prolifica, personalità irriverente, protagonista del giornalismo italiano dalla fine dell’Ottocento. Nello scatto di Giacomo Brogi posa in studio, come avveniva di frequente all’epoca. Serao è stata la prima donna ad aver fondato e diretto un giornale italiano. Fondò, insieme al marito Edoardo Scarfoglio, il Corriere di Roma, il Corriere di Napoli e poi Il Mattino nel 1892. Separatasi da Scarfoglio, Serao proseguì la sua carriera giornalistica autonomamente e in diretta concorrenza con il marito, fondando Il Giorno. Definita da Giosuè Carducci «la più forte prosatrice d’Italia», Serao è autrice di circa settanta opere, tra cui si ricordano Il ventre di Napoli, Il paese di cuccagna e La virtù di Checchina.

“Mussolini, De Vecchi e Balbo marciano a Napoli fra le Camicie nere” di Adolfo Porry Pastorel (1922)

Fonte: Archivio Istituto Luce

Il 24 ottobre 1922, presso Piazza Plebiscito, circa 15.000 camicie nere si riunirono a Napoli per l’adunata fascista che avrebbe preannunciato la marcia su Roma dei giorni seguenti. Nello scatto si distingue chiaramente Benito Mussolini, con lo sguardo fisso sull’obiettivo; al suo fianco molto probabilmente Michele Bianchi con il volto parzialmente coperto dal braccio; in primo piano invece Attilio Teruzzi accanto al segretario del Fascio napoletano, Aurelio Padovani, protagonista assoluto della storia del fascismo napoletano. Gerarca, eroe di guerra, nonché uno dei fondatori del fascismo napoletano, Padovani fu uno dei promotori della marcia su Roma. Egli era fautore di un fascismo intransigente di matrice popolare, fondato sulle organizzazioni dei lavoratori, considerato quale alternativa al mondo borghese.

“The Mothers of Naples Lament Their Sons’ Death” di Robert Capa (1943)

 Fonte: International Center of Photography / Magnum Photos

Non esiste nulla di più struggente del grido di dolore di una madre che ha perso un figlio.

E se i figli sono eroi di guerra, per di più adolescenti, le loro grida si fanno anche più feroci, anche più struggenti, anche più assetate di risposte. Sembrano quasi superare i confini dello spazio e del tempo per risuonare nel presente.

I figli delle donne che si vedono in foto sono i venti partigiani del Liceo Sannazaro (Quartiere Vomero) che, guidati da uno dei loro insegnanti, sacrificarono la loro vita combattendo contro i tedeschi nel corso delle quattro fatidiche giornate che segnarono la storia di Napoli.

Si tratta dei giorni che vanno dal 27 al 30 settembre 1943, quando il popolo napoletano, dimostrando il proprio spirito invitto, insorse contro l’esercito tedesco. Così la città di Napoli divenne la prima città europea a liberarsi autonomamente dai nazisti.

“Titina e Edoardo De Filippo nel III° atto della commedia Filumena Marturano” (autore non identificato) (1947) 

Fonte: Archivi Alinari, Firenze

La commedia Filumena Marturano è probabilmente una delle più note della produzione di Eduardo De Filippo. La fotografia rappresenta una scena del III atto pubblicata sulla rivista "L'Illustrazione Italiana" (27 aprile 1947, pag. 356) in cui figurano Eduardo De Filippo e Titina De Filippo, attrice e commediografa italiana di grande fama.

Tra le figure più eminenti del teatro italiano del Novecento, De Filippo, noto per opere come Napoli milionaria (1945) e Questi fantasmi (1946), ha messo in scena l’umanità e i rapporti sociali nella loro complessità e ipocrisia, la famiglia, i contrasti tra marito e moglie, tra genitori e figli, i lati oscuri dell’essere umano. Temi, questi, di immediato riconoscimento, che hanno fatto sì che il napoletano, con il suo linguaggio e la sua gestualità, si trasformasse in codice universale apprezzato anche all’estero.

“La rimozione delle macerie a via Stadera” di Libero De Cunzo e Gianni Genova (15 dicembre 1980)

Fonte: Comune di Napoli (pagina UrbaNa)

Si tratta del luogo simbolo della città partenopea ai tempi del sisma. In Via Stadera (Poggioreale) crollò infatti un palazzo di nove piani, causando oltre cinquanta vittime. Sono soprattutto fotografie di cronaca e reportage - tra cui quelle pubblicate su Il Mattino - a immortalare questi drammatici momenti.

Una tragedia che ebbe inizio il 23 novembre 1980 in Campania e Basilicata (in particolar modo le province di Salerno, Avellino e Potenza). Si contarono 3.000 morti, 9.000 feriti e 280.000 sfollati. A suscitare particolare scalpore furono i ritardi e le inadempienze dei soccorsi, denunciate dallo stesso Presidente della Repubblica Sandro Pertini, nonché le successive speculazioni sui fondi per la ricostruzione, come svelato dalle inchieste della magistratura. Anche per questa ragione il terremoto del 1980 rimase una ferita aperta per il Sud, simbolo di un sistema incapace di risollevarsi e sospingersi al futuro.  

L’omicidio di Giancarlo Siani (1985) 

Fonte: Ansa

Volto della legalità, del giornalismo libero e della denuncia dei rapporti tra criminalità e politica, Giancarlo Siani è stato il primo ed unico giornalista a cui la camorra ha tolto la vita. Nella fotografia Siani giace senza vita nella sua Citroën Méhari verde, così come venne ritrovato dopo il suo omicidio, avvenuto il 23 settembre 1985 nel quartiere Arenella di Napoli.

All’epoca Siani aveva 36 anni e si occupava di cronaca nera per Il Mattino. Si interessava soprattutto di lavoro al Sud, lotte sindacali e rapporti tra politica e camorra nel periodo post-terremoto. Nei suoi articoli, non risparmiava nomi e cognomi denunciando ferocemente le dinamiche dei clan negli anni turbolenti della guerra tra i Nuvoletta (l’organizzazione criminale di Marano affiliata a Cosa Nostra) e la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Il 10 giugno 1985, Giancarlo Siani in un suo articolo informò l'opinione pubblica che l'arresto del boss Valentino Gionta era stato reso possibile da una soffiata degli storici alleati Nuvoletta, che tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi. I mandanti dell’omicidio furono i boss Angelo e Lorenzo Nuvoletta su ordine di Totò Riina, capo assoluto di Cosa Nostra dal 1982 al suo arresto.

“Diego Armando Maradona con la maglia del Napoli durante la stagione calcistica del 1987-1988” (autore non indicato) (1987-1988)

Fonte: Archivio Alinari, Firenze

Non c’è storia di Napoli senza Maradona, l’uomo dal cui volto è impossibile sfuggire tra le strade di Napoli. L’uomo che si è trasfigurato in città, icona, mito, divinità; l’uomo che è divenuto simbolo di Napoli, del Sud Italia e dei Sud del mondo. Per la città partenopea e per la sua squadra di calcio Maradona ha rappresentato un sogno, il sogno della vittoria, ma anche quello del riscatto. Speranze che non furono disattese: Maradona condusse la squadra alla vittoria del primo scudetto e della terza Coppa Italia nello stesso anno, il 1987.

È sua la cosiddetta “mano de Dios”, quella che ha recentemente ispirato la pellicola di Paolo Sorrentino. Secondo il registra napoletano, Maradona fu anche «liberazione» per una «città incupita, violenta, [che] veniva dal terremoto, dalla guerra fra nuova e vecchia camorra».

L'opera Look Down di Jago in Piazza Plebiscito (2020)

Fonte: Ansa

In una città deserta, accovacciato in posizione fetale, il piccolo protagonista della scultura di Jago appare incatenato, schiacciato a terra senza apparente via di scampo. Posizionata in Piazza Plebiscito durante il periodo di lock-down pandemico, l’opera dal valore allegorico è divenuta il riflesso dello stato di vulnerabilità e alienazione vissuto in età pandemica.

La festa per lo scudetto del Napoli (2023)

Fonte: Comune di Napoli

Dopo 33 anni, finalmente, la storia si ripete. Sotto la guida dell’allenatore Luciano Spalletti e del presidente Aurelio De Laurentiis, lo scudetto torna tra le mani del Napoli. La città esplode in festeggiamenti senza precedenti. Immagini che lasciano credere che per Napoli, nonostante tutto, un lieto fine esista davvero.

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