Si vive uno stato di avvilente già visto, nelle analisi sul tragico omicidio del povero Francesco Pio a Mergellina. Analisi sociologico-criminali si affiancano a ipotesi di soluzioni, non nuove, che suonano come astratte panacee sulla cieca violenza minorile. Al primo posto, tra i rimedi riproposti, c’è la scuola, vista sempre come inizio e fine nella crescita educativa degli adolescenti. Già, ma quale scuola, se quest’istituzione è ormai relegata a entità di generale supplenza di vuoti altrui. Ai disorientati docenti si chiede di educare, formare, istruire, ma anche di sostituirsi a famiglie assenti. E poi inventarsi assistenti sociali e psicologi. Un po’ troppo, per chi ha una formazione di tipo pedagogico-culturale. Un po’ troppo, in una realtà sociale che non riconosce più ai docenti l’autorevolezza dell’educatore. E i primi a non riconoscerla sono i genitori, pronti a contestare decisioni e scelte scolastiche, se sgradevoli per i loro figli. Da tempo, il patto educativo famiglie-scuole è saltato. Complice anche una realtà da social, che ha azzerato gerarchie livellando tutto in linea orizzontate. Un ragazzo, che si illude di trattare alla pari con le «divinità» accaparratrici di like, disconosce il «misero» insegnante che ha di fronte.
Se non si riconoscono loro ruolo e compito autorevoli, si giustificano comportamenti arroganti e violenti verso i docenti, spesso messi in ridicolo sui social con video ripresi in classe. E poi c’è l’abbandono della scuola, confermato a Napoli negli ultimi tre mesi da 2300 segnalazioni di dispersione scolastica e dai 600 bocciati per cumulo di assenze. L’esperimento ventennale dei maestri di strada, sempre alla ricerca di fondi comunali, registra un malessere, con visuale capovolta, che non è solo nei ragazzi, ma anche negli adulti, in fuga dal loro ruolo di esempio formativo.
La riprova si ha quando i minori che delinquono, affidati a case di accoglienza rieducative, si trovano di fronte operatori che dettano loro regole. L’esperienza dell’associazione Jonathan, registrata ieri su questo giornale, dimostra che i giovani che violano il codice penale hanno bisogno di chi imponga regole da osservare: orari, televisione d’accesso limitato, sveglia mattutina, attività quotidiane che li impegnino.
E poi, certo, c’è il problema delle armi, che circolano in numero eccessivo a Napoli. Ne ha scritto Marco Demarco sul «Corriere del Mezzogiorno» ieri, riprendendo gli ultimi allarmi di questore e prefetto. Qualche anno fa, si calcolò in 12mila le armi illegali in città, ma può servire istituire una task force tra Comune e altre istituzioni, per aumentare i controlli sulle armi come negli Stati Uniti? Improponibile qui, con una polizia locale spesso timorosa a fermare da sola qualsiasi persona in alcune zone cittadine. Ma, se è vero che nel 2022 sono stati 290 i sequestri di armi abusive, tra cui ben 47 a minori, ci si chiede quante realmente ne circolino. Però non basta sequestrare una pistola a un minore, nello scenario educativo e socio-culturale evidenziato. Sarebbe come curare un frequente mal di testa con un’aspirina, senza capire e risolverne la causa d’origine. Anche perché, nelle notti della movida, chi decide di uccidere può farlo pure con un bastone, una sedia o un sanpietrino.