«Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie...appartenimmo à morte!». Aveva appena dieci anni, il chierichetto Antonio - o Totò, come lo chiamava la madre - quando s’imbatté per la prima voltanegli scheletri raffigurati sulle pareti delle catacombe di San Gaudioso.C’era (e c’è tuttora) un affresco, in particolare, dal quale il giovane chierichetto non riusciva a distogliere lo sguardo.
Era del pittore Giovanni Balducci, vissuto a cavallo tra il ‘500 e il ‘600, e raffigurava lo scheletro di un uomo ai cui piedi campeggiavano alcuni oggetti che evidentemente, per l’uomo ridotto a scheletro, avevano smesso di risultare importanti. Un libro, una corona, uno scettro, una clessidra semivuota. Quando sei morto non sai più cosa fartene dello scettro e dalla corona, e la clessidra smette di riversare la sabbia, perché il tempo non scivola più. Fu ripensando a quell’immagine che parecchi anni più tardi - nel 1964 - l’ex chierichetto del rione Sanità compose un testo strepitoso, che sotto forma di dialogo tra lo spirito di un marchese e quello di unnetturbino indaga sullanatura effimera degli orpelli sociali -le pagliacciate delmondo dei vivi - e sulla morte che tutto appiana. E, come una livella, fa piazza pulita delle distinzioni di classe e della tronfia arroganza delle élite nobiliari. È di ieri la notizia che i legali della famiglia De Curtis hanno chiesto la rimozione dalle attività commerciali di tutta Italia delle insegne e delle immagini riferite al Principe della Risata.
«È una questione di rispetto per mio nonno - dice la nipote Elena De Curtis - Ci imbattiamo ovunque, nei posti più impensati, nel suo nome e nelle sue foto utilizzati senza il minimo rispetto del diritto all’immagine». Il tema dell’utilizzo dell’immagine non riguarda, ovviamente, solo l’autore della Livella.