Criminapoli / 19: Raffaele Cutolo, lo show in aula e il fondo di Ciro Paglia sul Mattino

Criminapoli / 19: Raffaele Cutolo, lo show in aula e il fondo di Ciro Paglia sul Mattino
di Gigi Di Fiore
Venerdì 25 Febbraio 2022, 14:00 - Ultimo agg. 26 Febbraio, 18:55
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«Imputato Cutolo Raffaele, ora basta», scriveva Ciro Paglia capocronista del “Mattino”. in un famoso fondo di prima pagina. Era il 26 ottobre 1980. Una domenica, a meno di un mese dal terremoto in Irpinia. Giorni in cui il capo della nuova camorra organizzata era imputato a Castelcapuano nel suo primo vero processo alla quinta sezione penale del Tribunale napoletano. Trasformò quel dibattimento in un continuo show in aula, con giornalisti che si avvicinavano al gabbiotto degli imputati detenuti per sentire quello che diceva, mentre lanciava intimidazioni ad alta voce con parole piene di sottintesi. 

Quando si avvicinava la requisitoria che avrebbe tenuto il pm Teresa Casoria, Ciro Paglia decise che la misura di quel processo fuori le righe era colma. A seguire il dibattimento, c’era uno dei cronisti più meticolosi in una nidiata dove svettava la figura di Enzo Perez: Mino Jouakim.

A lui, Cutolo rivolse frasi che di fatto erano vere e proprie minacce indirizzate al quotidiano che aveva una linea assai critica sui suoi atteggiamenti nel processo. Durissime e coraggiose le parole di Ciro, in un periodo in cui il boss era potente e i suoi affiliati liberi uccidevano e gestivano affari criminali: «Di fronte al signor Cutolo Raffaele, di professione pregiudicato, in arte sceneggiatore di storie camorristiche (con tanto di abbracci, baci ed ossequi da parte di un certo mondo “insospettabile”), le cosiddette “istituzioni dello Stato” sembrano incerte, contraddittorie, per non dire riluttanti». 

“Il Mattino” vendeva centinaia di migliaia di copie, il “Roma” stava per chiudere e il quotidiano di via Chiatamone, diretto da Roberto Ciuni, monopolizzava l’informazione campana con un rilievo nazionale. Parole pesanti. «Quello che è accaduto e sta accadendo da quando è cominciato il processo all’uomo che viene definito il capo della nuova camorra rasenta l’incredibile», aggiungeva il capocronista del quotidiano. Che parlava di «rappresentazione teatrale con guitti da avanspettacolo più che un processo». Quelle righe furono scritte dopo un episodio che dimostrava il clima pesante del primo processo a Cutolo: una bomba era stata fatta esplodere sotto il portone della casa del presidente del collegio giudicante, Gennaro Calabrese. E quindici giorni prima, Cutolo aveva rivolto in aula al presidente una frase inquietante: «Ora fate il duro dopo aver letto Il Mattino». Quelle parole non erano uno scherzo. A Paglia, Cutolo aveva spedito dal carcere una raccomandata-espresso «uscita chissà come»con minacce e accenno a un «perdono per quanto era stato scritto su di lui». In aula, sempre indisturbato, il capo camorra aveva poi detto a Jouakim: «Sono stato generoso con voi, avrei potuto mandare due operai miei…».

La vigilanza

Parole e episodi che oggi avrebbero fatto scattare subito una riunione del comitato provinciale per l’ordine pubblico, con immediata concessione di una scorta ai giornalisti intimiditi. Allora non era così, queste decisioni non erano all’ordine del giorno. A Paglia fu assegnata soltanto una sorveglianza saltuaria sotto la redazione del giornale e sotto casa. Niente di più. Ci voleva molto più coraggio a fare il proprio lavoro, con la Nco al massimo del potere criminale e Cutolo che impazzava con i suoi messaggi. Eppure, proprio in quelle ore, sabato 25 ottobre, si era comunque tenuta una grande manifestazione anti-camorra a Castellammare con in testa gli operai dell’Italcantieri. Una seconda era stata fissata anche a Napoli dai commercianti per il 12 novembre. «Ciascuno faccia il proprio dovere” scriveva ancora Ciro Paglia “senza esitazioni, senza colpevoli inerzie, senza paura». E concludeva con estrema decisione: «I Cutolo possono parlare di perdono. Noi, la società civile, no. Per noi conta una sola legge, quella dello Stato. Pretendiamo che essa sia applicata. Contro tutti. A cominciare dai Cutolo e dai suoi compari». 

Il direttore Ciuni sosteneva le iniziative di Paglia e il lavoro dei suoi cronisti, quel fondo aveva voluto fosse pubblicato di spalla in prima pagina. “Il Mattino” era impegnato contro la camorra cutoliana in un periodo in cui non era semplice farlo. Pochi giorni dopo, lo dimostrò l’omicidio di Domenico Beneventano, medico 32enne, ma soprattutto consigliere comunale dal Pci a Ottaviano, il paese di Cutolo. Beneventano lavorava all’ospedale San Gennaro a Napoli. Era l’undicesimo delitto in pochi mesi nell’area vesuviana. Venerdì sette novembre 1980, gli spararono sette colpi di pistola da un’auto. Un agguato camorristico. Beneventano era stato minacciato più volte.

In aula, Cutolo si mostrava sempre più spavaldo e lanciava messaggi, sentendosi impunito. Nel giorno dell’omicidio Beneventano, il capo camorra comunicò nell’aula del processo: «Ho preso a schiaffi il vice direttore del Carcere di Poggioreale, Giuseppe Salvia, mi ha denunciato e non ne potevo più, l’isolamento mi sta trasformando in una belva». Qualche settimana dopo, Salvia sarebbe stato ucciso in un agguato. Poche ore dopo il suo annuncio, a Cutolo fu consegnato un ordine di cattura per lesioni e oltraggio firmato dal pm Arcibaldo Miller. 

 

In questo clima da guerra, il processo andava comunque avanti. Scongiurato il trasferimento del dibattimento in altra città per “legittima suspicione”, arrivarono le indiscrezioni su una perizia che dichiarava il capo della Nco infermo di mente. Cutolo faceva il protagonista e in udienza, a proposito della bomba esplosa sotto il portone del presidente Gennaro Calabrese, urlò dando spettacolo: »La stampa dà per scontato che il mandante dell’attentato sotto il portone di casa vostra sia stato io. Cose così vili non ne faccio. Se mi convinco di doverlo fare, faccio cose ben più gravi. Con la bomba non c’entro». Avrebbe commentato il giudice a latere Raffaele Giordano, intervistato da Adriano Baglivo del “Corriere della sera”: «Si sta costruendo il personaggio Cutolo a danno della giustizia, che viene considerata debole e condizionata dalle pressioni e dalle minacce».

La presenza 

Oltre al fondo, Ciro Paglia fece di più. Assisteva spesso alle udienze del processo, per dare sostegno a Jouakim. Il 29 ottobre, dal gabbiotto degli imputati partirono contro di lui insulti e minacce. No, non era semplice fare i cronisti in quei giorni. Il processo era uno show, la fiera dell’impudenza. Arrivò in aula anche il presidente dell’Avellino calcio, Antonio Sibilia, affiliato della Nco, e consegnò a Cutolo una medaglia d’oro della sua squadra “in segno di stima”. Mercoledì 12 novembre, finalmente arrivò la requisitoria del pm Teresa Casoria. Con toni fermi, chiese per i i 24 imputati un totale di 131 anni di carcere. Pesante la richiesta per Cutolo: 13 anni e dieci mesi di reclusione. Non è pazzo, ma un lucido ispiratore di delitti, sostenne il magistrato. Oltraggiosi furono i commenti di Cutolo urlati in aula: «Presidente, non ce l’ho con le donne, ma per processare uno come Cutolo ci voleva il procuratore generale o almeno il sostituto che ha fatto le indagini Italo Ormanni. Invece mi vogliono mortificare e hanno fatto venire una donna che arriva dalla pretura di Lamezia terme. E questo sarebbe il processone alla nuova camorra!». 

Video

In prima pagina, il titolo del “Mattino” fu «Una donna più forte del boss della camorra!». Drammatico quello che accadde mercoledì 10 dicembre, il giorno prima della sentenza. Ancora un agguato mortale della Nco cutoliana contro un esponente delle istituzioni: i killer cutoliani uccisero il sindaco di Pagani, l’avvocato Marcello Torre. Era un avvertimento intimidatorio diretto agli amministratori pubblici, in vista dei lavori del dopo-terremoto. Non si saprà mai se la scelta del giorno dell'agguato al sindaco Torre fu solo una coincidenza, se c'era un legame con la prima sentenza contro la Nco. I giudici condannarono Cutolo a dieci anni, riconoscendogli la “semi infermità di mente”. Diciotto giorni prima della sentenza, letta in aula alle tre del pomeriggio dal presidente Calabrese, ci fu la tremenda scossa di terremoto in Irpinia. Quel 23 novembre 1980, si scatenò un inferno di vendette tra clan all’interno nel carcere di Poggioreale. Il processo subì solo un breve ritardo di qualche giorno per il terremoto, poi la sentenza arrivò. Ma, per almeno altri due anni, la Nco seminò morte e terrore proseguendo la guerra contro i clan della Nuova famiglia. Una guerra da centinaia di morti. Poi il blitz del giugno 1983 disposto dalla Procura di Napoli, con centinaia di arresti. Ma i giorni del processo alla quinta sezione penale, con il suo carico di tensioni, intimidazioni, show del boss in aula e gli agguati a Beneventano e Torre, rimasero tra le pagine più nere del potere della camorra cutoliana. In quel momento, era al suo apice. 

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