Il Poeta e il Ramo d'Oro, quel segreto nascosto negli abissi dell'Averno

Jean-Noel Schifano rivisita il mito con un libro

Il lago d'Averno
Il lago d'Averno
di Vittorio Del Tufo
Domenica 28 Maggio 2023, 10:12 - Ultimo agg. 29 Maggio, 10:57
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«Chiedi il tuo destino, ecco il dio, ecco il dio, questo è il momento» (Virgilio, Eneide, Libro VI)

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C'è una macchina chiamata Sorbona - ma anche suceuse, la succhiatrice - che aspira la sabbia sott'acqua per liberare statue e mosaici. C'è un architetto subacqueo che abita nel Vomero «delle lavandaie, dei caprai e dei suonatori di mandolini». C'è il giovane Bacco che risorge dall'azzurro nero dei Campi Flegrei e sorride, sorride e pare riprendere a respirare, e rinascere dopo duemila anni trascorsi nel «liquido amniotico» del mare e della nostra memoria. C'è una città chiamata come il nocchiere di Ulisse, Bajos, sospesa tra Mito e Storia, perché è il Mito che disegna sulle nostre terre la topografia della Storia. C'è un lago, l'Averno, che «è una lacrima sulla superficie della Terra, ed è tutta la nostra cultura occidentale che sta in questa lacrima». E c'è un protagonista, Virgilio, che proprio tra Napoli - la Napoli di Augusto - e i Campi Flegrei si addentrò nella conoscenza segreta della natura, avvicinandosi ai culti di Cerere e Proserpina. Virgilio che nel mitico Libro VI dell'Eneide affida al suo alter ego, Enea, il compito di andare alla ricerca del Ramo d'Oro.

Con Il ramo d'oro (Colonnese editore, il primo libro scritto direttamente in italiano dall'autore) Jean-Noël Schifano ha scritto pagine di immaginazione e sogno, un minuscolo e delizioso tributo al grande poeta che ha voluto (e visto) l'Inferno alle spalle dell'adorata Partenope - Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc / Parthenope.

L'antefatto è noto: senza il Ramo d'Oro - ovvero un ramo di vischio che, quando si secca, assume un colore "aureo" - Enea non potrà rendere omaggio a Proserpina, regina degli Inferi, e scendere così nell'Ade per rivedere il padre Anchise e apprendere da lui il destino che lo avrebbe atteso dopo l'arrivo nel Lazio.

La Sibilla Cumana, interpellata in proposito, era stata molto chiara, parlando per ispirazione del dio Apollo.

Così leggiamo nel VI libro dell'Eneide:

Nascosto in un albero folto è un ramo che ha foglie
d'oro e il gambo flessibile, sacro a Prosèrpina;
tutta la selva lo copre e fitte ombre lo cingono
di convalli. A nessuno è dato di entrare nei regni
segreti se prima non svelle quell'aureo germoglio.
La bella Prosèrpina vuole che a lei si riserbi
Questo tributo; al primo staccato non manca il secondo
d'oro anch'esso, e il ramo di foglie d'oro si veste.
Dunque ben addentro osserva con gli occhi e trovatolo,
come il rito prescrive, staccalo con la tua mano;
quello da sé docilmente verrà alla tua mano
se il fato ti elegge, altrimenti non forza ti giova
a piegarlo, né duro ferro a strapparlo.

Il Ramo d'Oro è un ramo di vischio? Virgilio non lo dice con certezza, ma lo lascia capire: «Quale solet silvis brumali frigore viscum» (come nelle foreste sotto le nebbie in inverno il vischio). Schifano mostra confidenza con l'archetipo virgiliano ma giunge, nel suo excursus tra mito, letteratura e leggenda, a una conclusione sorprendente: l'autore dell'Eneide, profondo conoscitore della natura, sceglie l'immagine del vischio - immagine fallace, avverte Schifano: il Ramo d'Oro è in realtà un ramo di ginestra; è la ginestra, non il vischio, che fiorisce nel cratere del lago d'Averno - per rendere omaggio alle sue origini, alla sua infanzia. «L'infanzia a Mantova, un vecchio pomo con mazzi di vischio», e un padre che richiama il figlio «che leggeva appoggiato al tronco coperto di muschio».

Per raggiungere i propri inferni, che nascono dall'infanzia e si sviluppano dopo, bisogna avere, scrive Schifano, questo ramo sacro dell'infanzia. «Senza questo ramo dell'infanzia non si scende né si risale da nessuna parte. È Salvatore e infernale. Non c'è nessuna infanzia che non abbia avuto il suo Inferno».
Tutto è metafora, tutto è immerso, come Bacco, nel liquido amniotico del Mito. Questa, sostiene Schifano, è la grande lezione di Virgilio: insegna a tutti come scendere dentro noi stessi, come Enea nell'Ade, per poi risalire in mezzo agli altri esseri vivi.

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Scrivendo direttamente in italiano, la lingua del padre (siciliano) Schifano ha cercato l'ombra del genitore, come Virgilio sul ciglio dell'Averno. Scoprendo, tra le tessere del mosaico napoletano, con i suoi 2500 anni di storia, il senso profondo di un viaggio che poteva avvenire solo qua, su questa terra che danza ardentemente, come i Campi Flegrei, «e ci insegna il mito che lega e feconda tutto, e non smette mai di fare vera, straziante, voluttuosa luce in noi».

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Passando (di ramo in ramo) fino a Roberto De Simone, e alla sua opera-mondo, Nel segno di Virgilio, ritroviamo il VI libro dell'Eneide e un'altra interpretazione misterica del Ramo d'Oro con quale Enea scese negli Inferi. Ricorda De Simone che Servio, maestro di grammatica a Roma e famoso interprete di Virgilio, spiegò che col ramo d'oro il Poeta mago volle riferirsi alla lettera Y, tipico segno della scuola pitagorica. «Tale lettera - scrive De Simone - esprime il numero 3, se si considerano le sue tre direzioni, ma esprime anche il 4, se ai tre punti estremi della lettera si aggiunge il punto centrale: esprimendo il tre ed il quattro, si riferisce anche alle scienze del trivio e del quadrivio, nonché alla loro somma che è sette: altro numero magico del mondo pitagorico». Dunque la lettera Y racchiude i simboli della saggezza e della verità, la verità più profonda che Virgilio, nel suo ininterrotto e millenario dialogo con i suoi lettori, non ha mai smesso di squadernarci davanti agli occhi. Così il Ramo d'Oro, come simbolo della Y, o di tutte le virtù, «rimane nascosto nella selva dei desideri futili e della confusione interiore» (Servio).

Elio Donato, Aelius Donatus, autore nel quarto secolo della più antica biografia su Virgilio che ci sia pervenuta - la prima, quella di Svetonio, è giunta a noi solo attraverso brevi e incompleti frammenti - svela un episodio rivelatore della vita del Poeta. Anzi, della sua nascita (avvenuta ad Andes, presso Mantova, nel 70 a.C.). «Sua madre, prossima al parto, sognò di avere generato un ramo di alloro che, al contatto con la terra, mise radici e crebbe all'istante, assumendo la forma di un albero maturo, ricco di vari frutti e di fiori.

E la mattina seguente, mentre si dirigeva col marito verso la campagna vicina, uscì di casa e si sgravò del suo peso in un fossato. Si racconta che il bambino, quando venne alla luce, non emise vagiti e aveva una tale dolcezza nell'espressione del volto, che si da allora faceva sperare in un avvenire piuttosto felice». Nel luogo dove era avvenuto il parto, «crebbe un pioppo che in breve tempo eguagliò in altezza i pioppi che erano stati piantati molto tempo prima». Narra la leggenda che quest'albero, subito ribattezzato albero di Virgilio, venne considerato miracoloso e scelto come luogo di devozione dalle donne che «promettevano o scioglievano voti proprio in quel luogo». Un segno di gloria, sottolinea De Simone, associato solo ai grandi eroi, agli indovini, ai grandi re.
 

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