Daniele Silvestri, Disco X è il nuovo album: «Cantautore? Meglio cantastorie»

«Mi pare di aver perso il bimbo che avevo dentro, ma non sono vittima della sindrome di Peter Pan come molti nel mio mestiere»

Daniele Silvestri
Daniele Silvestri
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Mercoledì 31 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 1 Giugno, 07:11
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Quando stai per iniziare il tuo articolo segnalando Daniele Silvestri come uno di quei rarissimi cantautori della generazione di mezzo che hanno tenuto fede al nobile mestiere scelto, lui ti fulmina: «Questo disco è nato quando ho capito che in realtà sono un cantastorie, schiacciato per troppo tempo, e per personalissima scelta, dal credere di dover dire chissà cosa e chissà come a chissà chi».

Non c'è più religione, Danie': ma fai davvero? Eppure il tuo nuovo album, «Disco X», il decimo, in uscita venerdì, suona proprio come una chicca cantautorale, insieme leggera e profonda, cosa che non accade di sovente di questi tempi.
«Sì, ero come schiacciato, poi mi sono pensato come uno che racconta storie, magari le mette in scena con l'aiuto di qualche amico.

Tutto, tra l'altro, è nato in tour».

Ti ho visto a Napoli, teatro Augusteo, era spettacolare veder nascere e crescere le nuove canzoni.
«Se tengo le persone tre ore e mezza a teatro non è violenza, ma un'attenzione diversa, anche alla condivisione, rispetto a quella dei social. Avevo chiesto a chi mi segue di sottopormi storie da trasformare in canzoni, ogni sera le portavo in scena, una è finita sul disco: “Tutta”, raccontatami per immagini da un libraio di Forlì che mi ha regalato lo spunto per cantare d'amore ancora una volta».

Se in teatro il live assomigliava a una sala di registrazione, in studio con te per preparare e registrare il disco questa volta c'era una folla di persone.
«Beh, qualche contributo è arrivato anche a distanza. Quando ho iniziato a fare questo lavoro se un cantautore - eccola, la parola famigerata - collaborava con qualcun altro sembrava un miracolo. Oggi tutti, non solo i rapper per cui è inevitabile, fanno dischi pieni di ospiti. Io, l'ho già fatto in passato, non solo con Niccolò Fabi e Max Gazzè, o andando a Sanremo con Rancore, ma questa volta sentivo che non bastava la mia voce, che mi servivano voci, e punti di vista, diversi».

Così ecco sfilare al tuo fianco Frankie Hi Nrg, Giorgia, Selton, Wrongonyou, Davide Shorty, Fulminacci, Eva, Emanuela Fanelli, Franco126.
«Un numero esagerato di feat, è vero, ma Giorgia mi serviva per recupare un brano vintage soul come “Cinema d'essai”, Fulminacci per immaginarmi in un dialogo allo specchio con un me stesso più giovane, Franco126 per parlare de Roma in un certo modo strascicato in “Bella come stai”. Non moltiplico le ugole per andare all'incasso dei like, insomma».

«Nessuno storico primato da rivendicare/ tutto nella media e senza iperboli/ nessun anelito ad emergere da questo mare/ ma dov'è profondo puoi provare a immergerti»: chiarisci nell'introduzione, che cita subito Dalla, sorta di nume tutelare di tutto il disco, pronto a ricomparire tra citazioni di parole e suoni.
«Un cantastorie non si vergogna dei suoi riferimenti: Lucio, soprattutto nei primi 5-6 lp, è stato un campione di libertà, di creatività non incanalabile».

«Il talento dei gabbiani» riscrive «Bellissima» di Visconti al tempo dei talent show.
«I più vanno, vengono, scompaiono in quel mondo dove tutto si consuma veloce. Vite affidate a pochi minuti, in cui qualcuno dovrebbe capire al volo se c'è talento o apparenza: una trappola che dovrebbe spaventare i genitori, ma invece... Alla fine nel brano la cosa più normale è la ribellione del ragazzo, che deve e dovrà comunque ribellarsi alla famiglia: altrimenti che giovane è?».

Beh, a proposito di giovani, non sembri entusiasta del giovanilismo discografico: «Per fare un sacco di clic ci vuole un ospite X, per un miliardo di stream almeno un paio di feat».
«I miei non sono feat, ma collaborazioni reali. A 54 anni non cerco altri campionati in cui giocare, non conosco i numeri che faccio su Spotify, conosco quelli dei teatri pieni».

«L'uomo nello specchio» non si riconosce. E Daniele?
«Pure, è mio lo smarrimento personale che canto, è mia la sensazione di aver perso qualcosa. Mi pare di aver perso il bimbo che avevo dentro, ma non sono vittima della sindrome di Peter Pan come molti nel mio mestiere: non mi tingo i capelli, non faccio il giovanotto».

In «While the children play» irrompe il dramma della guerra.
«Vista dai bambini. Ma l'Ucraina non c'entra, è un pezzo vecchio».

Cosa ha segnato di più il disco di Silvestri «cantastorie dei giorni nostri», per dirla alla Baglioni?
«La sezione fiati: quando ho sentito quei tre fare musica mi è tornata voglia di fare un disco. Eccolo». 

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