Sergio Rubini è al montaggio della sua miniserie su Giacomo Leopardi, due puntate per Raiuno, «un vecchissimo progetto, condiviso fin dal principio col produttore Beppe Caschetto e con colui che considero il mio maestro, Domenico Starnone». In settembre, poi, sarà sul set della «Camera di consiglio», in cui la Infascelli evocherà i 35 giorni in cui, a Palermo, i giudici si relegarono lontani dal mondo per la sentenza sul maxiprocesso alla mafia. Daniele Russo, invece, che con i fratelli Gabriele e Roberta gestisce il più moderno tra i teatri napoletani - il Bellini - sarà diretto nella prossima stagione da un regista illustre come Antonio Latella in «Morte accidentale di un anarchico», di Dario Fo («l’ho corteggiato a lungo per ottenere il ruolo»). Intanto, proprio al Bellini, da stasera a domenica 26, i due daranno vita a «Il caso Jekyll», rivisitazione in chiave psicanalitica e contemporanea dello «Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde». Con loro, in scena, agiranno Geno Diana, Roberto Salemi, Angelo Zampieri e Alessia Santalucia.
Per uno come Rubini, che ha scelto la psicoterapia come compagna di vita («sono 25 anni...»), la scelta del testo non è peregrina.
Daniele: «Purtroppo, nonostante i propositi, Jekyll non riesce a controllare la parte oscura di sé e ne diventa vittima, compiendo misfatti, per i quali abbiamo attinto anche da alcune vicende di cronaca nera». E Rubini: «Al contrario di me, Jekyll non va in analisi e instaura una relazione segreta col proprio doppio, pensando di gestirla, ma è sopraffatto da Hyde e da uno sdoppiamento logorante».
Anche Daniele, per ora, è immune alla psicoterapia: «Finora mi sono salvato»; ma sarà lui, intanto, a essere sia Jekyll sia Hyde: «Ebbene sì, mi divido. Sergio si è ritagliato il ruolo di narratore, con il compito di legare le scene leggendo brani del romanzo. Rubini: «E anche passi che abbiamo aggiunto nel nostro testo, scritto da me e Carla Cavalluzzi. Tra l’altro, in una storia misogina, abbiamo inserito un personaggio femminile». Daniele: «Lo spettacolo sembra una sceneggiatura cinematografica e si snoda come un poliziesco, prendendo le mosse, come nel romanzo, dall’avvocato Hutterson, che mette insieme le tessere del misterioso puzzle, fino al disvelamento».
Con queste premesse, «la scenografia è una sorta di scatola magica in cui entrare per un viaggio cupo e onirico, sostenuto da suoni e compositori novecenteschi come Hindemith e Bartok». E lei come si divide tra Jekyll e Hyde? «Al principio, ho costruito i personaggi tenendoli ben distinti; poi, ho provato a farli dialogare, in modo che uno filtri nell’altro e viceversa. In realtà, sono due facce della stessa medaglia, come accade in ciascuno di noi: siamo autonomi ma, poi, un aspetto inquina l’altro o gli altri. Non vado in analisi ma, come attore, mi rendo conto che sono potenzialmente non uno, non due, ma molti di più, e ho la fortuna di dar vita a tutti, grazie al mio mestiere».
Rubini, lei ha prestato la voce a Wolverine e ha fatto parte del cast di «Nina dei lupi», ma qui non ci riferiamo a superpoteri, bensì ai poteri: di quale ha bisogno un uomo per vivere in equilibrio in un mondo che non lo ha? «La restare nel presente... ma...». Ma? «Se penso al mondo, be’, la società ha anche bisogno di uomini che progettino. I nostri antenati credevano in un futuro possibile, fatto di speranza e tenacia, mentre in questo nostro tempo il domani è un buco nero che fa paura. E sa perché? Siamo uomini del passato che vivono in un futuro già presente, in atto, ma non c’è più una politica, super partes, che metta regole alla tecnologia dominante e lasci, al centro, l’uomo».