Chico Forti, l'avvocato: «Incontrerà la madre, poi chiederemo la libertà vigilata. La grazie? È presto»

Il legale Michele Dalla Vedova: «Non si è mai proclamato colpevole, è rientrato in Italia sulla base di una convenzione internazionale»

Chico Forti, l'avvocato: «Incontrerà la madre, poi chiederemo la libertà vigilata. La grazie? È presto»
Chico Forti, l'avvocato: «Incontrerà la madre, poi chiederemo la libertà vigilata. La grazie? È presto»
di Egle Priolo
Martedì 21 Maggio 2024, 06:41 - Ultimo agg. 22:58
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Già tra «qualche mese» Chico Forti potrebbe chiedere la libertà vigilata e quindi uscire dal carcere di Verona. Lo spiega l'avvocato Michele Dalla Vedova che, insieme a Carlo Dalla Vedova, assiste l'ex velista e produttore televisivo condannato all'ergastolo in Florida per l'omicidio dell'imprenditore australiano Dale Pike (avvenuto il 15 febbraio 1998) e sabato rientrato in Italia a bordo in un Falcon dell'Aeronautica militare atterrato a Pratica di mare, alle porte di Roma. Il 65enne di origini trentine, che si è sempre dichiarato innocente, mentre magari accarezza l'idea di chiedere la grazia, intanto potrà ricominciare a ipotizzare una vita al di là delle sbarre, dopo quel "fine pena mai" sancito dai giudici americani il 15 giugno 2000. Adesso la competenza, per territorio, è in mano al tribunale di sorveglianza di Venezia.


Avvocato Dalla Vedova, state già ipotizzando una domanda per richiedere la libertà vigilata?
«Per questo specifico vissuto ci vuole ancora del tempo.

In Italia sono necessari 26 anni dall'inizio dell'espiazione della pena, quindi ancora ci vorrà qualche mese. Ma adesso è troppo presto».

Però è possibile esca davvero a breve per una visita alla mamma, che non vede dal 2008.
«Abbiamo presentato un'istanza al tribunale di sorveglianza, per motivi umanitari considerando che la madre di Forti, 96 anni, non ha modo di muoversi dalla sua abitazione. Non ci aspettiamo un diniego: è un diritto di tutti i detenuti».

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Le tempistiche?
«Sono rimesse alla discrezionalità del giudice, ci vorrà almeno una settimana: va nominato un magistrato di sorveglianza, è necessario che riveda l'istanza e studi i documenti. Insomma, un minimo di tempo ci vuole, ma confidiamo che siano veloci, vista l'urgenza».

Maria Lonar Forti è ormai molto anziana e da tempo chiede di poterlo vedere.
«A 96 anni ha certamente i suoi acciacchi e soffre nel non poter visitare il figlio adesso che è finalmente in Italia. Non si vedono da quando, sedici anni fa, riuscì a organizzare un incontro in Florida».

In carcere la prima richiesta di Forti è stata questa, ma dopo tanti anni lontano dall'Italia e dalla sua famiglia, ha avanzato altre istanze all'istituto penitenziario di Verona?
«Richieste particolari non ci risultano. Ma certamente adesso vive un senso di felicità e di gioia. Per lui è stato un passo decisamente significativo».

 

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Appena atterrato a Roma, Forti infatti ha dichiarato di aver «sognato ogni giorno questo momento» e dopo il passaggio da Rebibbia all'istituto di Montorio è stato destinato a una cella singola della VI sezione, quella dove solitamente si trovano i detenuti in semilibertà. Ha chiesto informazioni sulla palestra, evidentemente abituato a fare sport per tenersi in forma e trascorrere le lunghe giornate dietro le sbarre. Ieri, dopo aver chiamato sua madre, ha parlato al telefono con il fratello Stefano e gli ha riferito che il rapporto con gli altri detenuti è ottimo. Chico ha solo paventato il "pericolo" di ingrassare, perché - ha spiegato - c'è un cuoco professionista nell'istituto penitenziario veronese che cucina molto bene un menu italiano, che gli mancava da tanto.

Avvocato, adesso si parla già di domanda di grazia...
«È troppo presto anche per questo. Tutte le ipotesi sono legittime, ma è decisamente prematuro».

Forti ha sempre proclamato la sua innocenza davanti a un'accusa gravissima, quella di omicidio. Ma al suo rientro è stato detto si sarebbe dichiarato colpevole per ottenere il trasferimento, è vero?
«Non mi risulta si sia dichiarato colpevole. Il presupposto per il suo trasferimento sta nella convenzione che consente ai detenuti degli Stati aderenti, come l'Italia, e condannati in via definitiva a scontare la pena nel proprio Paese di origine. E la richiesta doveva trovare il favore di vari attori: lo Stato della Florida, gli Stati federali e il nostro ministero della Giustizia. Tutti hanno dato l'ok al trasferimento, riconoscendo la sentenza per darne esecuzione. Come lui ha fatto nell'ultima udienza del 15 maggio, prestando il suo consenso a essere trasferito. Solo questo».
 

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