Sal da Vinci: «Odio i camorristi, non posso chiedere la fedina penale»

Sal da Vinci: «Odio i camorristi, non posso chiedere la fedina penale»
di ​Federico Vacalebre
Giovedì 24 Settembre 2015, 08:55 - Ultimo agg. 09:03
3 Minuti di Lettura

Si sente vittima del «tritacarne mediatico», Sal Da Vinci, «finito in prima pagina come il cantante che si esibisce per la figlia del boss». Ieri ha passato la giornata a rispondere a telefonate e email e sms: «Di fans, di sostenitori, di giornalisti, dei soliti nullafacenti, di amici, di nemici». In diretta su Radio Marte ha detto la sua, poi ha scelto di fare un passo indietro, di «non dare adito al dibattito sul niente, anche se so che Gianni Simioli ha continuato a trasmettere per ore il sostegno del popolo che sa che io sono pulito, che non ho niente da nascondere».

Al «suo» popolo aveva parlato sin dalla mattina, via social network, raccontandosi «ferito», dipinto «come se io fossi un personaggio equivoco, un delinquente che la fa franca».

Convinto di non aver nulla da perdonarsi, che essersi trovato a cantare al matrimonio della figlia del boss Mariano non costituisca non solo reato, ma nemmeno materia di notizia, almeno non così eclatante, ha provato a trovare il tono dell’ironia, o almeno e del paradosso: «Da questo momento in poi, a tutti i fans che vorrebbero fotografarsi con me, che comprano i biglietti a teatro, che mi ingaggiano per esibirmi, dovrò chiedere un documento che attesti che non abbiano precedenti penali, che non appartengono a famiglie camorristiche, che non siano mai stati in galera. Insomma, un specie di certificato antimafia, altrimenti...».

Allora, Sal, che cosa è successo?

«Non so nemmeno io che cosa sia davvero successo, forse niente, forse tutto, di sicuro qualcosa che ha fatto molto male a me e alla mia famiglia. Io di quella prestazione del 9 novembre 2010 non ricordo nulla. Se gli inquirenti dicono che c’ero sarà vero, ma davvero non ne ho contezza, memoria. Il mio manager dell’epoca aveva preso l’impegno, che per me - come sempre succede - era segnato in agenda con il nome del ristorante dove ero atteso, non certo del parente del camorrista che si sposava. Posso capire che la mia presenza in un’inchiesta faccia notizia, ma non fino a questo punto. Poche righe, una fotina ci possono stare, ma tutto questo risalto... Non sono indagato, i magistrati non hanno nemmeno ritenuto opportuno interrogarmi ed ora ecco il mostro Da Vinci sbattuto in prima pagina, come mai mi era successo, nemmeno nel momento di maggior successo».

Parlare di un exploit a Sanremo o in scena non è la stessa cosa che parlare di camorra.

«Appunto, allora parliamo di camorra. Che c’entro io con la camorra? La mia dignità è ferita, per molti sono, spero di non dover usare il verbo al passato e dire ero, una voce di impegno, che si spende da sempre per il sogno di riscatto della città tutta. E ora? È facile puntare il dito verso il personaggio noto, quasi il cantante fosse colpevole della sua fama, soprattutto contro la voce di ”C’era una volta... Scugnizzi”: nel musical di Mattone ero il prete che si batteva per salvare dalla strada i ragazzi di Nisida. Quello predica bene e razzola male, penserà chi non mi conosce, chi magari legge solo il titolo sul giornale e pensa che io sia andato a cantare a casa del boss, a rendergli omaggio. Non, che come tanti, sia finito ad esibirmi, senza saperlo, al matrimonio di sua figlia».

CONTINUA A LEGGERE SUL MATTINO DIGITAL