Una pagina nera per le istituzioni che isola la città

di Vittorio Del Tufo
Venerdì 7 Novembre 2014, 23:30 - Ultimo agg. 23:42
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Hanno indossato l’elmetto di lotta e di governo e sono scesi in piazza per protestare contro lo Sblocca Italia. Mezza giunta comunale, vicesindaco in testa: tutti a ruggire - con la benedizione del sindaco De Magistris, che ieri era in trasferta a Milano per l’assemblea dei primi cittadini italiani - dove un tempo ruggivano le acciaierie. Assessori in marcia contro l’esproprio di Bagnoli e il governo cinico e baro che ha commissariato i progetti di sviluppo dell’area Ovest. Progetti finora, vale la pena di ricordare, tutti miseramente falliti: squagliatisi come neve al sole. Se Palazzo san Giacomo voleva marcare, con un gesto dal forte impatto simbolico, la rottura istituzionale con Roma, collocandosi e collocando la città, per così dire, all’opposizione rispetto a Renzi e al governo centrale, c’è perfettamente riuscito. Dopo aver perso, progressivamente, ogni capacità di dialogo e di interlocuzione con Palazzo Chigi, dopo aver scelto la strada dell’isolamento, delle iperboli e delle sparate, il sindaco e i suoi assessori hanno deciso di alzare ulteriormente la voce e la posta. E hanno steso una bandana ai piedi dei manifestanti, come a dire: stiamo dalla vostra parte, scendiamo in piazza con voi. Salvo poi defilarsi in fretta quando l’anima più violenta del corteo - tra i contestatori ve n’erano molti vestiti di nero e con il viso coperto da caschi - ha alzato le barricate e sparato petardi, declinando la protesta in guerriglia.



Quello che è accaduto ieri davanti all’ingresso di Città della Scienza è di una gravità inaudita. Perché accanto alle decine di associazioni scese in piazza per protestare pacificamente e democraticamente c’era l’anima nera della prevaricazione urbana: i professionisti degli scontri di piazza che hanno scelto Bagnoli solo come l’ennesimo palcoscenico per spingere un po’ più in là la loro sfida violenta. Ma ciò che è più grave è la presenza, in quella stessa manifestazione, dei rappresentanti delle istituzioni cittadine. Mezza giunta De Magistris, appunto. La responsabilità morale di aver fatto sfilare gli uomini delle istituzioni nello stesso luogo dei professionisti della violenza è gravissima: una pagina nera per la città che difficilmente potrà essere dimenticata. E che poteva diventare ancora più nera se non fosse stato per la condotta, esemplare, delle forze dell’ordine che, con venti feriti, hanno pagato un tributo altissimo alla «politica» dei cocci di vetro, delle mazze e dei petardi.



Si fa davvero fatica, e tanta, a immaginare che i toni rabbiosi, rancorosi e velleitari usati sulla vicenda Bagnoli possano tornare utili alla città e allo stesso sindaco che ha il dovere di rappresentarla. Un conto è il disaccordo, comprensibile, con un decreto che ha indebolito il ruolo del Comune attribuendogli un semplice ruolo consultivo nella definizione delle scelte per la riqualificazione di quell’area. Una decisione, bisogna ricordarlo per l’ennesima volta, che è arrivata proprio alla luce dei disastri del passato e dell’inconcludenza del presente. Altra cosa è recitare come un disco rotto il mantra dei poteri forti e schierarsi al fianco dell’ala più estrema e movimentista della protesta.



Così si tutelano gli interessi della città? Crediamo di no. Se la giunta De Magistris voleva (vuole) rientrare nella partita di Bagnoli, dopo esserne stata esclusa per i limiti evidenti e l’inadeguatezza dell’azione amministrativa (gli stessi limiti e la stessa inadeguatezza delle giunte che l’hanno preceduta) allora ha perso una buona occasione per rimettersi in gioco. Perché quel deserto amministrativo, popolato di poltrone inutili, di chiacchiere e di veti incrociati, ha portato all’attuale stallo. E ai poteri di supplenza rivendicati ed esercitati dal governo Renzi. Scendere al fianco dell’ala più violenta della protesta, del partito dei no sempre e comunque, dei no a prescindere, non aiuterà De Magistris a correggere al rialzo il decreto né a tornare a giocare un ruolo da protagonista nelle scelte per Bagnoli. Rischia, viceversa, di isolarlo ancora di più politicamente. Rafforzando, paradossalmente, proprio le ragioni del commissariamento. È difficile, a questo punto, sfuggire alla sensazione che la strategia del sindaco sia quella di usare Bagnoli (anche Bagnoli) per recuperare e difendere il consenso della piazza. A prescindere dalle ragioni dello sviluppo e dai progetti di riconversione: perché gettando in continuazione benzina sul fuoco, alzando ogni giorno di più il livello dello scontro, si rischia di indebolire e vanificare quegli stessi progetti, anziché rafforzarli.



«Bagnoli non si tocca», era lo slogan ricorrente della manifestazione di ieri. Ma sono vent’anni che Bagnoli non si tocca. A furia di non toccarla è stata ridotta in polvere. Uno scandalo a cielo aperto su cui si sono accesi, da tempo, anche i fari della magistratura. Non l’avamposto di archeologia industriale ammantato di un’aura decadente e in grado di attrarre nuovo sviluppo. Ma il buco nero della città, la vergognosa metafora dei progetti di riconversione annunciati e falliti, dove si è speso più per le poltrone che per le bonifiche, riempiendo di fumo, per anni, gli occhi dell’opinione pubblica. A questa opinione pubblica l’amministrazione ha il dovere di parlare con il linguaggio della verità e dell’autocritica. Riavvolgendo le bandane ed evitando, se possibile, di confondere la piazza con i volti neri della violenza.