Casal di Principe dopo la sentenza Cosentino: «Che c'importa? Serve lavoro»

Casal di Principe dopo la sentenza Cosentino: «Che c'importa? Serve lavoro»
di Gigi Di Fiore
Sabato 19 Novembre 2016, 00:00 - Ultimo agg. 09:52
3 Minuti di Lettura

Casal di Principe. «Ma cosa si può dire sulla sentenza Cosentino? I problemi, qui, ormai sono ben altri». Nel suo ufficio al Comune, con pareti scarne dove campeggia la foto di don Peppe Diana, il sindaco Renato Natale ha appena finito di parlare con due coppie di suoi concittadini. Gente che protesta, in maniera educata, per il pericolo di perdere la casa, abusiva, costata un mutuo di centomila euro. Sono le difficoltà del ritorno alla legalità, della normalizzazione di una realtà per un trentennio oppressa da una cappa da guerra. E la guerra, qui, si è chiamata mafia dei Casalesi, si è chiamato dominio di un gruppo criminale in grado di condizionare sindaci, assessori, tecnici comunali. A Casale è dopoguerra. E i due anziani seduti sulla panchina poco più avanti la chiesa madre del Santissimo Salvatore, ne sono un emblema. Dicono: «Cosentino? È da così tanti anni lontano dal paese, che pochi hanno seguito quello che è successo. Qua la gente si muore di fame».

È allarme. I pacchi di alimenti confezionati dalla parrocchia del Santissimo Salvatore vanno a ruba. Finiscono subito. Don Carlo, il parroco, fa del suo meglio, ma non basta. Le richieste sono sempre in aumento. Non è più tempo di sussidi personali, di personaggi che procurano «lavoretti» e guadagni non si sa come. Il Comune aveva promosso un sussidio chiamato «Spesa solidale». Prevedeva un bonus di 25 euro come contributo per una spesa alimentare da assegnare con una graduatoria rigida. Risultato? Sono arrivate ben 516 domande che, moltiplicate per i componenti dei nuclei familiari, fanno 2000 persone. Il 10 per cento della popolazione di Casale con i suoi 22mila abitanti. Alla fine, però, i fondi disponibili hanno potuto accontentare solo 152 domande. Le prime in graduatoria. E al Comune è stata una catena di lamentele da gente che voleva entrare in graduatoria.
«È una spia drammatica, pensando che stiamo parlando di un contributo di appena 25 euro - commenta il sindaco Natale - Molti sono rimasti delusi. Io mi sento arrabbiato ad affrontare le crescenti difficoltà sociali del mio paese. Come amministrazione ci sentiamo soli».

Sembra tutto semplice dopo gli arresti, dopo le inchieste giudiziarie, dopo la mazzata repressiva. E guardare la casa di via Bologna, che era il bunker del famoso Sandokan Francesco Schiavone, tutto sembra a tinte rosee. La palazzina è confiscata, una parte ospita l’associazione di ragazzi autistici che partirà con la produzione di alimenti senza glutine. In un lato residuo, non confiscato, abitano le figlie di Schiavone, boss ormai condannato al carcere per sempre. Tutto facile, con altri sei beni confiscati affidati alla gestione comunale, che ne farà sedi scolastiche e di uffici. Altri 19 beni sono gestiti dal consorzio Agrorinasce, tra cui anche la sede dell’Università della legalità. Ma c’è un altro aspetto della medaglia, che rende drammatico il dopoguerra di Casale: i costi della legalità.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA