A Napoli finestre sull'arte palestinese con il Collettivo Shababik di Gaza City

A Napoli finestre sull'arte palestinese con il Collettivo Shababik di Gaza City
di Donatella Trotta
Lunedì 22 Maggio 2017, 20:37
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L’arte come atto di resistenza, strumento di liberazione, ponte tra mondi, cortocircuito esistenziale capace di illuminare – dentro e fuori – realtà altrimenti invisibili, emarginate o dimenticate. E i colori, le immagini, le visioni più eloquenti delle parole per raccontare il disagio di una condizione di occupazione e di oppressione, tanto fisica quanto psicologica, sociale e politica. Si intitola «Windows from Gaza» («Finestre da Gaza») la mostra delle opere del collettivo Shababik di Gaza City che approda a Napoli, nella Chiesa di San Severo al Pendino in via Duomo, dal 24 maggio (vernissage alle ore 17) al 6 giugno prossimi (orari: 9-19, festivi 9-14, ingresso libero).
 
Ed è una significativa vetrina dell’arte pittorica contemporanea palestinese quella che verrà presentata nel progetto itinerante, promosso dall’onlus FotografiSenzaFrontiere e dal Centro Italiano di Scambio Culturale “Vik” di Gaza, in collaborazione con l’Associazione Comunità Palestinese Campana, con il patrocinio dell’assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, nell’ambito del Maggio dei Monumenti, e con il sostegno della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese. In mostra, una selezione di dodici lavori di tre artisti gazaui (il pittore espressionista e informale, fotografo, video artista e promotore culturale Basel El-Maqousi, classe 1971; il pittore figurativo Majed Shala, classe 1960 e l’eclettico artista Shareef Sarhan, classe 1976, attento al tema del flagello bellico riverberato, nelle sue opere, dagli stilemi dell’astrattismo della tradizione figurativa araba fino alla multimedialità della video arte), fondatori del collettivo Shababik, nato a Gaza City nel 2003 con l’obiettivo di sostenere e formare giovani professionisti in uno spazio di confronto che, malgrado la scarsità di mezzi a disposizione, possa consentire l’espressione artistica come reazione alle condizioni di isolamento in cui questi artisti vivono.
 
«Il nome Windows From Gaza – spiegano i promotori del collettivo Shababik – nasce dal fatto che viviamo sotto occupazione, in una prigione a cielo aperto che non ci permette di muoverci liberamente neanche nella nostra Palestina, quindi abbiamo pensato che la gente potesse vedere Gaza attraverso queste “finestre”: ci siamo riuniti per pensare a come raggiungere l’”altro” e respirare attraverso piccoli spiragli di apertura sul mondo. Desideriamo dire la nostra in questo angusto luogo chiamato Gaza, che noi proviamo a riempire di nuovi colori narranti, attraverso uno spazio riservato a noi e affollato delle nostre idee, e soprattutto attraverso il nostro linguaggio artistico e culturale per comunicare con altri». Fa eco alla loro voce l’esperienza laboratoriale di FotografiSenzaFrontiere, che dalla fine del 2010 collabora con il collettivo gazaui per aiutare questi artisti a far conoscere il proprio lavoro, realizzato – a causa dell’isolamento e delle difficoltà economiche - con materiali poveri nella Striscia di Gaza, con stili e riferimenti culturali differenti, ma accomunati dalla voglia di esprimere e trasmettere un messaggio di aggregazione contro la disgregazione del loro mondo: «Abbiamo potuto constatare di persona - affermano gli esponenti dell'onlus - le difficilissime condizioni di vita degli abitanti di Gaza  e, in particolare, le profonde frustrazioni degli artisti gazaui non solo di avere scarsi e rari mezzi per sviluppare la propria creatività, ma di non potere condividere e mostrare i propri lavori all'esterno». Di qui, all'inizio del 2014, l'idea di far arrivare in Italia le loro opere, unitamente alla possibilità di parlare della loro condizione ed esperienza di artisti a Gaza: non a caso, durante la serata di presentazione a Napoli, oltre alla proiezione di un breve docufilm documentario su "Windows from Gaza"sarà possibile un vollegamento Skype con gli artisti della Striscia di Gaza.
 
Una “missione” che i fondatori del Collettivo Shababik si sono, aloro volta, assunti fino in fondo, intrecciando le proprie biografie: Majed Shala, laureato in Usa nel 2001, impegnato inizialmente nella musica e nella fotografia, ha al suo attivo numerose mostre personali in Medio Oriente, Stati Uniti, Sud Africa, Brasile e Italia, oltre ad aver collaborato con le Nazioni Unite e con con la YMCA (Youth Men’s Christian Association) partecipando a numerosi campi estivi di arte per ragazzi. Shareef Sarhan, diplomato in arte e comunicazione negli Stati Uniti, che lavora come artista dal 1992, inizialmente con una cifra stilistica realistica, poi stemperata in altre esperienze artistiche, è impegnato anche come fotografo professionista; Basel el-Maqousi, formatosi fra il resto in Giordania con l’artista siriano-tedesco Marwan Qassab Bashi, maestro di molti giovani palestinesi, ha messo la sue poliedriche competenze al servizio dei più deboli: da dieci anni insegna arte ai ragazzi sordomuti nella Associazione Jabalia per disabili. Il loro sodalizio (al quale si sono aggiunti Mohammad Hoja, Hazem Harb e Shadi Zaqzouq), accolto inizialmente negli spazi della Galleria pubblica Mina Gallery, finanziata dal Ministero della Cultura, chiusa però nel 2007 quando Hamas ha preso il potere nella Striscia di Gaza, è poi riuscito a otterere un parziale supporto dal Ministero della Cultura di Ramallah riuscendo infine ad aprire nel 2009, autofinanziandosi, lo Shababik Studio: spazio di condivisione dell’arte contemporanea non soltanto palestinese, per ridare respiro alla speranza di un popolo sotto assedio.   


 
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