Primo maggio con il record vertenze: sono 162 le aziende in crisi

Primo maggio con il record vertenze: sono 162 le aziende in crisi
di Francesco Pacifico
Martedì 1 Maggio 2018, 08:00 - Ultimo agg. 13:40
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Marco Bentivogli, leader dei metalmeccanici della Cisl, ha spiegato che difficilmente il sindacato riuscirà a recuperare il rapporto con i giovani «se continuiamo a parlare anche ai ventenni della legge Fornero e dell'articolo 18, come fa la Cgil». Proprio nella prima confederazione italiana Susanna Camusso sta mettendo con difficoltà le basi per la sua successione, sperando di non spaccare corso d'Italia tra l'area riformista, forse maggioritaria e quella massimalista, ben rappresentata da Maurizio Landini. Mai come in questo primo Maggio la crisi del sindacato italiano s'intreccia con una dinamica dell'occupazione più debole rispetto alla ripresa che registrano gli enti di statistica: lo dimostra il fatto che in regioni come la Calabria (21,6 per cento), Sicilia (21,5), Campania (20,9) e Puglia (19,1) si doppia senza colpo ferire il dato nazionale (10,9).
Crisi industriali

I tavoli aperti al ministero dello Sviluppo sono 162. Queste vertenze riguardano il futuro di circa 180mila lavoratori. Nel 2012, il penultimo anno della grande crisi che ha colpito il Paese, le crisi gestite in via Veneto erano 146, coinvolgendo 143mila persone. Soltanto tra il 2016 e il 2017 - cioè in piena ripresa - ci sono stati 25mila addetti in più che rischiano il loro posto. In queste ore i casi che destano più attenzione (almeno mediatica) riguardano il futuro dell'Ilva di Taranto e dell'Embraco di Chieri. Sul primo versante, Archelor Mittal, i nuovi acquirenti indiani delle acciaierie un tempo Iri e della famiglia Riva hanno annunciato 5.500 esuberi. Gli incontri al ministero, finora, non hanno portato risultati. Stallo, nella siderurgia, anche sul futuro della ex Lucchini a Piombino. Muro contro muro si è registrato tra il governo e l'Embraco sullo stabilimento un tempo Whirpool di Chieri, dove sono a rischio 497 posti di lavoro. Dopo tanti tira e molla l'esecutivo ha strappato soltanto una moratoria di un anno e degli esodi incentivati. Non sempre tutto si chiude per il meglio, ma non mancano eccezione. In Sardegna l'Alcoa, nel campo dell'alluminio, è ripartita dopo l'acquisizione da parte di Sider Alloy. La quale ha accettato che i lavoratori entrino in Cda. Salvi anche gli addetti della Gepin, area call center: soltanto in Calabria sono stati mantenuti 220 posti. Uno spiraglio si è trovato anche alla Perugina. Ma, accanto a questi successi, il ministero dello Sviluppo rischia di dover incassare una sconfitta in una vertenza dal forte valore simbolico: la ripartenza dell'area industriale di Termini Imerese, abbandonata da Fiat negli anni scorsi. Qui dove sorgere il polo dell'auto elettrica in Italia, ma la Blutec, nonostante gli impegni presi ha reintegrato soltanto 120 ex tute blu del Lingotto su 750. Intanto Ideal Standard vuole dismettere lo stabilimento di Frosinone (qui lavorano 300 persone) e potrebbe ridurre anche l'attività nel Bellunese, a Trichiana.
 
Ci sono poi una serie di incognite che riguardano il futuro di nomi importanti dell'economia Italiana. Al momento la vicenda Alitalia è congelata, con il governo che ha allungato i termini della cessione fino a ottobre. Ma l'acquirente più credibile Lufthansa ha già chiarito che nella compagnia ci sono almeno 4-5000 tra piloti e assistenti di volo e di terra in più rispetto al dovuto. La scalata di Fincantieri a Stx pone seri dubbi sugli assetti degli stabilimenti italiani. Per esempio è molto preoccupata la politica locale a Castellammare, nel napoletano. Stessi interrogativi se li pongono le istituzioni di Piemonte e Campania sui progetti in Italia di FiatChrysler: a fine anno uscirà il risanatore Sergio Marchionne, ma al momento l'azienda sembra più interessata ad arrivare al pareggio di bilancio che a definire le strategia sui nuovi modelli, che coinvolgono soprattutto i siti di Mirafiori e in Campania quello di Pomigliano, che si accinge a perdere la produzione della Panda.

Qui sono a rischio imprese capaci in passato di aver varcato i confini nazionali e di aver investito in innovazione. Pensiamo nella valle dell'Ufita alla ex Irisbus, oggi Industria Italiana Autobus. Incertezza anche per l'ex Firema, oggi TFA-Titagarh group, nel Casertano, alla Novolegno nell'Avellinese, le Fonderia Pisano a Salerno, per non parlare dei cascami di crisi storiche come quelle che hanno coinvolto nell'It la Ericsson, la Its di Torre Annunziata e la Dema di Nola. Non vanno meglio le cose nel comparto della grande distribuzione: l'ex Auchan di via Argine è pronta a dimezzare il numero del personale, mentre la Coop Tirreno vuole chiudere gli iper a via Arenaccia e quello di Santa Maria Capua a Vetere. Potrebbero trovarsi a casi oltre 200 persone.

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