L'uomo che costruiva castelli era un suddito dell'impero britannico ma scelse Napoli come teatro delle sue utopie. Era avanti, troppo avanti, avanti di almeno cento anni rispetto ai suoi tempi, e per questo immaginò, in una città che non riusciva a stare al suo passo, opere ardite e visionarie. Negli occhi di Lamont Young - l'eclettico architetto, ingegnere e urbanista anglo-napoletano nato nel 1851 - c'era la visione di una città proiettata verso il futuro. A lui si devono nel 1872 i progetti, mai realizzati, della prima linea metropolitana partenopea e del «rione Venezia», il nuovo quartiere che da Santa Lucia, lungo la costa di Posillipo, avrebbe dovuto collegare Napoli con i Campi Flegrei realizzando un canale navigabile che utilizzasse anche il percorso delle gallerie. E poi ascensori, scale mobili, case girevoli, zone verdi, stabilimenti termali.
Scettico verso ogni vocazione industriale della città, ne rifiutava tanto l'espansione a macchia d'olio quanto lo sventramento del suo centro antico. Il suo nome resterà associato a progetti ingegnosi rimasti nel libro dei sogni, ma anche a interventi edilizi realizzati con pieno successo: come il palazzo del Grenoble in via Crispi - costruito nel 1884 per essere utilizzato come istituto scolastico femminile - o la Galleria Principe. L'uomo che costruiva castelli scelse un angolo di paradiso tra la collina e il mare, dietro le quinte dell'odierna piazza Amedeo, per realizzare uno dei suoi capolavori, la dimora Aselmeyer, esempio tra i più riusciti di architettura neogotica in Italia, deturpato oggi da oscene sopraelevazioni. L'impronta medievale del castelletto, con i suoi archi ogivali e le torri sporgenti, è ben nota a quanti, da piazza Amedeo, guardano in direzione del parco Grifeo e della collina del Vomero. Young costruì la villa nel 1902 - di fronte allo sbocco sul corso Vittorio Emanuele della via del parco Margherita - come propria dimora; appena due anni più tardi, tuttavia, non seppe opporsi alla risolutezza del banchiere Carlo Aselmeyer, che la voleva per sé. Così il palazzo prese il nome del nuovo proprietario, e il visionario architetto passò oltre, pronto a disegnare nuove utopie. La dimora Aselmeyer, una delle gemme più preziose del tesoro di Young, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del nuovo secolo parve ispirare l'intero piano regolatore del rione Principe Amedeo.
Era stato in principio Enrico Alvino, nel 1859, a presentare un progetto di risistemazione della zona che sarebbe stato in effetti attuato solo qualche decennio più tardi, con l'apertura nel 1886 di via dei Mille e delle direttrici circostanti. L'uomo che costruiva castelli pose fine alla sua vita con una palla in testa; fu lui stesso a tirare il grilletto, in una fredda sera del 1929 sulla terrazza di villa Ebe a Pizzofalcone, forse intuendo che al suo gioiello neogotico abbarbicato sul monte Echia sarebbe toccato in sorte un futuro inglorioso, di degrado e abbandono. L'architetto aveva dedicato la palazzina alla sua giovane moglie Ebe, che continuò a dimorarvi fino al 1970. Alla fine degli anni 90 la villa fu acquistata dal Comune. Vandalizzata più volte, occupata da clochard e balordi, abbandonata dalle istituzioni che avrebbero dovuto (e dovrebbero) tutelarla, la dimora sul monte è stata distrutta nel 2000 da uno spaventoso incendio che ne ha distrutto gli interni e la splendida scala elicoidale.
Tutto perduto, tutto dimenticato, come ha denunciato proprio in questi giorni Silvio Perrella sulle colonne di questo giornale. Ancora oggi il castelletto di Villa Ebe è una cicatrice nel cuore della città, il vero grande assente dai progetti di risistemazione del Monte Echia. Progetti approvati nell'ormai lontano 1999 e subito arenatisi nelle sabbie mobili dei veti incrociati, delle varianti, degli stop and to della sovrintendenza, dei veti incrociati. *** I poliziotti che interpretano i «Bastardi di Pizzofalcone», nella fiction tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni, si affacciano dalla splendida terrazza di Palazzo Carafa, sulla sommità del Monte Echia. La sede del commissariato è nella realtà la sezione distaccata (militare) dell'antico Archivio di Stato, e la gru che si vede in primo piano nelle riprese è quella al servizio del cantiere per l'ascensore del Monte Echia, che collegherà, quando i lavori termineranno, via Chiatamone e Santa Lucia con il belvedere di Pizzofalcone. Dei vari progetti per la riqualificazione dell'area quello dell'ascensore del Monte Echia è l'unico a camminare, ma che fatica: i lavori sono iniziati nel 2009 (dieci anni dopo l'approvazione del progetto) e nessuno è in grado di fare previsioni sulla conclusione dell'opera.
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La bastardata di Pizzofalcone:
tradito il sogno di Lamont Young
di Vittorio Del Tufo
Domenica 26 Febbraio 2017, 11:56
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