Tommaso, dalla tossicodipendenza
a responsabile di un centro di recupero:
«Per salvarti devi chiederti perché vivere»

Tommaso, dalla tossicodipendenza a responsabile di un centro di recupero: «Per salvarti devi chiederti perché vivere»
di Francesca Cicatelli
Mercoledì 9 Novembre 2016, 10:23
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Dalla tossicodipendenza a responsabile di un centro di recupero.  Dal nichilismo alla redenzione passando per l'amore inaspettato per chi l'ha salvato. Tommaso Colella, 37 anni di Capri, una ormai lontana spiccata assuefazione alle droghe di lusso, ha appena terminato di stringere mani e abbracciare persone, mentre sale le scale «soddisfatto dall'aver preso parte, dall'aver contribuito». Anche oggi.

È il perno di un centro di recupero dal disagio sociale e dalle droghe a Piglio in Ciociaria, esempio di baratro e rinascita per tanti che identificano in lui la possibilità di ritrovarsi anche attraverso l'incontro di salvezza con Nuovi Orizzonti.
 


Tommaso, ha sperimentato un passato difficile
«Ho un passato di 20 anni di tossicodipendenza».
Viveva a Capri. C'è una tossicodipendenza di serie A e di serie B ?
«Certo la mia tossicodipendenza non era quella di strada: vivevo di immagine, di lavoro, di soldi e di conoscenze e attraverso tutto questo pensavo di aver trovato la felicità: vestiti di marca e frequentazioni di potere. Mi sono ritrovato con una vita che sembrava fatta di tante luci. Invece mi stava fagocitando».
Quando il cambiamento?  
«Mi ha trasfigurato la storia di Lucia che raccontò in tv di aver perso la madre e due bimbi per la droga ma negli occhi aveva una nuova voglia di vivere e la fiducia verso Dio. Ho capito che quella ragazza aveva quello che cercavo».
Cosa ha provato? È entrato in comunità per tua volontà? In che modo?
«Ero in un momento in cui pensavo di farla finita, volevo uccidermi con un'overdose. Cercavo una risposta che non trovavo dentro di me. Sono entrato in comunità nel 2010, mi sono sentito subito amato, voluto bene per com'ero.  Ho sentito che andavo bene così e questo mi ha permesso di riavere la dignità di essere uomo e il coraggio di vivere la vita».
Ora è diventato un maestro per gli altri. Perché?
«Ho fatto esperienza di Dio e ho deciso di donare la mia vita proprio a tanti ragazzi che hanno il mio problema e oggi sono responsabile di un centro a Piglio vicino Frosinone, che è lo stesso centro che mi ha accolto 7 anni fa».
Ha una fede al dito. Ha costruito una vita diversa...
«In questa esperienza ho conosciuto mia moglie, una volontaria del centro pronta a partire come missionaria in Brasile e invece ha trovato me come missione».
Come finanzierà i progetti del tuo centro?
«Cerchiamo di affidarci alla Provvidenza di Dio, ci rimbocchiamo le maniche e attraverso il lavoro e organizzando eventi, raccolte fondi, cene di beneficienza, interagiamo con il territorio che risponde bene».
Da Napoli arrivano aiuti?
«Da tutta Italia.  Napoli era il mio territorio. Frequentavo Secondigliano. Ho avuto l'opportunità di accogliere tanti ragazzi che vengono proprio da quell'inferno».
Chi si è perso come deve fare a ritrovarsi?
«Esiste una via di salvezza. La strada è quella dell'umiltà, del chiedere aiuto e la forza di volontà. Ci vuole una buona dose di motivazione per salvarsi».
Qual è stata la tua motivazione?
«Davanti a me c'era un'unica soluzione, quella della morte o del carcere che sarebbe stato comunque una non vita.  Ad un centro punto mi sono trovato sul baratro. Quando fai i conti con la morte inizi a chiederti perché devi morire, perché la vita deve essere una sofferenza. Ecco finché non ti domandi perché devi vivere, non sarai in grado di vivere la vita».
 

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