Faida di Scampia: presi i killer di Mirko, il camorrista borghese che ha ispirato Valerio di Gomorra

Faida di Scampia: presi i killer di Mirko, il camorrista borghese che ha ispirato Valerio di Gomorra
di Viviana Lanza
Mercoledì 26 Giugno 2019, 07:30 - Ultimo agg. 16:02
4 Minuti di Lettura
I lineamenti gentili e la dizione perfetta. Lo chiamavano «l'italiano» e la sua storia ha ispirato il personaggio di Valerio nella serie Tv Gomorra. Mirko Romano era nato e cresciuto ai Camaldoli in una famiglia della buona borghesia napoletana. Era uno studente e davanti a sé aveva mille opportunità di futuro. Scelse di diventare un camorrista e calarsi in quel mondo criminale che tanto lo affascinava e che lo ha portato a morire a 27 anni in un agguato tesogli da affiliati del suo stesso clan. «Questa è la malavita» dice Francesco Russo detto Cicciariello mentre è sul letto a bere whisky e svuotare la bottiglia per levare, dalle mani e dal corpo, i residui della polvere da sparo. Russo parla a Michele Caiazza, che prima di diventare collaboratore di giustizia è stato uno dei più fedeli uomini di Mirko Romano, l'unico a conoscere il nascondiglio delle sue armi, l'unico a sapere della sua casa a Monteruscello, dei suoi sogni e della notte trascorsa con la fidanzata in uno dei grandi alberghi del Lungomare per festeggiare la scarcerazione dopo l'arresto per una rapina in banca che gli affiliati dicono che non aveva mai commesso («perché Mirko era un killer ma non un rapinatore»). «Io pensavo che si uccidevano ma non tra di loro» si dispera l'amata di Mirko. Undici colpi di una calibro 38 mirati al volto e al torace. Mirko Romano fu ucciso nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 2012 da Francesco Russo e su ordine di Mariano Riccio, l'allora giovane capo degli scissionisti, secondo la ricostruzione dell'ultima inchiesta dell'Antimafia coordinata dal pm Maurizio De Marco, del pool antimafia guidato dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, che ha portato alla svolta sul delitto e alla misura in carcere per i due indagati. Mirko Romano fu ucciso sull'Asse mediano, a Melito, mentre era in auto credendo di dover partecipare a uno dei periodici incontri con Riccio, all'epoca latitante. L'auto usata per ucciderlo fu poi rimessa a nuovo con una diversa tappezzeria e rivenduta in un autosalone. «È questa la malavita» dice Russo mentre offre a Caiazza il bracciale di diamanti, regalo proprio di Mirko. «Oggi o domani anche tu potresti metterti un braccialetto mio dopo che mi hai ucciso». Ma chi era Mirko Romano?
 
Dalle serate con gli amici al Vomero alle notti consumate tra summit e piazze di spaccio. E sempre sul chi va. Perché, racconta Caiazza, «Mirko non si fidava di nessuno e in macchina si sedeva sempre sui sedili posteriori temendo che da dietro qualcuno potesse sparargli». Una precauzione che non gli è servita, perché era seduto sul sedile posteriore quando Russo, secondo le accuse, si voltò e gli sparò. Mirko alzò un braccio per proteggersi, aprì la portiera e provò a fuggire. Fu inseguito e finito. Lui, che aveva mille opportunità di futuro davanti, decise di darsi al crimine. Divenne una sorta di bounty killer, un assassino silenzioso. Dice il pentito Gennaro Notturno: «Faceva il killer a pagamento, tipo mercenario, per poi passare al clan di Cesare Pagano». Quindi al clan degli scissionisti che nel 2012 viveva una crisi interna dopo l'arresto e il 41bis dei boss storici e la gestione dei giovani capi tra cui Carmine Cerrato e Mariano Riccio, rispettivamente cognato e genero di Pagano. La crisi sfociò nella terza faida di Scampia. Mirko intanto era già diventato un affiliato di prestigio, capo di una delle più redditizie piazze di spaccio, la 219 di Melito, guadagnava 40mila euro al mese e coltivava progetti criminali ambiziosi.

«Si disse che Mirko era morto solo per un astratto pericolo che potesse collaborare con la giustizia, ma in realtà vi era gelosia nei suoi confronti perché era bravo e guadagnava molto». E' così che Paolo Caiazza, da pentito, racconta il movente dell'omicidio. Anche altri collaboratori, da Carmine Cerrato a Fabio Vitagliano, ricordano i motivi di quell'epurazione interna. «Soggetti che hanno commesso omicidi dopo un po' danno fastidio» dice Cerrato, che è tra gli indagati per il delitto Romano. Ma ci sarebbe anche la personalità di Mirko: calmo e lucido, efficiente e spietato, composto e non tracotante con gli altri affiliati, dotato di carisma e capace di prendere decisioni, anche in autonomia. Tutto questo avrebbe scatenato la gelosia dei killer emergenti, che ambivano al suo ruolo. E così Mirko si ritrovò sotto il fuoco amico. Aveva mille opportunità di futuro davanti. Fu ucciso e gettato in strada. «Questa è la malavita».
© RIPRODUZIONE RISERVATA