Alajo «Soffro di delirio: quella pensione è un mio diritto»

Alajo «Soffro di delirio: quella pensione è un mio diritto»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 5 Aprile 2016, 08:38
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«Uno scandalo? Quale scandalo? Dov’è lo scandalo? Ma sì, facciano le indagini che devono fare, tanto la situazione è questa: soffro di una sindrome delirante che mi ha portato anche a tentare il suicidio, in questa vicenda - parlo della mia pensione - non ho truffato nessuno. L’ho fatta a Benevento, ho fatto una richiesta on line, proprio per prendere le distanze da quanto avevo messo in piedi a Napoli. Insomma, io la pensione e l’accompagnamento me li merito, perché c’è una sindrome delirante...».

Calma, calma, Salvatore Alajo, non perda l’equilibrio che è peggio. Capirà che la sua storia fa notizia a prescindere dalle carte che sta mostrando, oltre a rendere necessari inevitabili accertamenti giudiziari.
«E che li facciano pure questi accertamenti, lo dica ai carabinieri che comunque ho le carte apposto e ho diritto a quei soldi (circa 800 euro al mese) che mi sono stati assegnati dall’Inps a Benevento». 

Eccolo Salvatore Alajo, regista della grande truffa dei finti ciechi e dei finti pazzi di Chiaia, protagonista - secondo le sentenze - di un sacco milionario, soldi mai venuti fuori. Condannato in appello a sei anni per truffa e falso, in attesa della definizione di altri due processi, Alajo sventola la pagina del Mattino, quella che racconta «l’ultima beffa», a proposito del vitalizio che incassa a Benevento, nonostante indagini e processi che lo inchiodano - al momento - nei panni di puparo di un esercito di finti qualcosa a spese dello Stato. Assistito dal penalista Mario Mele (che ha difeso Alajo accanto all’avvocato Lelio Della Pietra), l’ex consigliere della Municipalità di Chiaia prova a rivendicare la correttezza della pratica che gli ha consentito di incassare un vitalizio per problemi mentali da oltre sei anni: proprio negli stessi anni in cui diventava consigliere municipale a Chiaia (duemila voti), gestiva un Caf riconosciuto dallo Stato, fabbricava centinaia di profili assistenziali in gran parte - recitano per ora le sentenze - fasulli, posticci. 
Come mai si è rivolto a Benevento?
«Avevo intenzione di trasferirmi lì tra il 2009 e il 2010, anche per stare lontano dal contesto in cui sono maturate certe cose».

Quindi lontano da Chiaia, dal suo rione dove spadroneggiava in materia di pensioni vere per finti malati?
«Sì, in un certo senso è così: ho pensato a rivolgermi a Benevento anche per evitare che il mio caso potesse essere ricondotto ad appoggi non genuini, a canali sospetti, l’ho fatto perché sono convinto di meritare questo tipo di trattamento».

Insomma, anche per evitare di sembrare raccomandato, vista la capacità di influenza che aveva in certi uffici.
«Storia vecchia, per altro oggetto di processi».

Eppure al Mattino risulta l’esatto contrario: che lei si è rivolto, negli stessi anni anche al Tribunale civile di Napoli, ottenendo un vitalizio anche qui a Napoli, per via giudiziaria. Quindi lei ha incassato in questi anni due pensioni: una a Napoli e l’altra a Benevento?
«Assolutamente no. Mai preso due pensioni da due organi diversi. A Napoli mi sono rivolto al giudice civile dopo un precedente diniego, ho ottenuto una pensione che mi è stata revocata a causa della mancata presentazione alla visita di revisione legata a motivi formali (vale a dire la omessa notifica dell’avviso di presentazione mentre ero detenuto). Ovviamente mi sono opposto al provvedimento di revoca e oggi il giudizio pende ancora. Lo ripeto: mai preso due pensioni in simultanea, anche se lei continua a cercare lo scandalo, provando ad eludere il punto centrale della questione».

E qual è il punto centrale della questione?
«Che io la patologia ce l’ho e ce l’ho sempre avuta. Sono sottoposto a terapia per sindrome delirante congenita, un problema che si è già manifestato nella mia famiglia e che mi ha portato, in carcere, a tentare il suicidio. Un fatto che mi è stato riconosciuto anche dal Tribunale della Sorveglianza, che mi ha scarcerato, concedendomi gli arresti domiciliari».
 

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