Napoli. Baby boss «ignoranti emotivi
come bimbi soldato africani»

Napoli. Baby boss «ignoranti emotivi come bimbi soldato africani»
Venerdì 28 Ottobre 2016, 17:31
3 Minuti di Lettura
Baby boss e baby killer sono figli del consumismo sfrenato, basato sulla logica del 'qui ed orà, pericolosi come i bambini soldato africani perché 'ignoranti emotivì, cioé incapaci di percepire la sofferenza umana: è l'analisi psico-sociologica che Giuseppe Centomani, dirigente distrettuale della giustizia minorile in Campania, fa della cosiddetta «paranza dei bimbi». Il fenomeno, che ha insanguinato e continua a insanguinare, anche se in misura minore, le strade di Napoli, è tornato alla ribalta nei giorni scorsi, dopo la condanna a nove anni di reclusione, in appello, inflitta a un giovane di appena 17 anni, ritenuto vicino al clan Giuliano. Malgrado la sua giovane età, il ragazzo ha già un lungo curriculum criminale fatto di rapine, «stese» e tentativi di omicidio.


«E'  proprio grazie all'ignoranza emotiva, che li induce a considerare l'essere umano un oggetto, che questi ragazzi riescono a fare quello che fanno, a mantenere la freddezza necessaria per compiere atti criminali di estrema gravita», sottolinea Centomani. A questo, poi, va aggiunta un'aggravante: «Sono anche consumatori di sostanze stupefacenti, una miscela estremamente esplosiva», sostiene il dirigente. Per Centomani, però, «non sono e non vanno considerati come il camorrista classico», anzi, «la camorra classica, quella fatta di regole e onore, che ancora esiste, li tollera perché funzionali alla loro mission, sebbene comporti un sacrificio». «Per i clan sarebbe molto facile liberarsene - evidenzia Centomani - ma non lo fanno perché sebbene producano un effetto contrario a quello che la camorra classica persegue, che è la fidelizzazione della cittadinanza (»lo Stato non ti aiuta? Nessuna paura, ci sono io...«), almeno tengono le forze dell'ordine impegnate e un pò più lontane dai loro affari illeciti». I baby boss, inoltre, secondo il dirigente distrettuale della giustizia minorile, cercano «la supremazia nel vicolo, non mirano a mettere le mani sul quartiere o sulla città», a differenza dei clan storici di Napoli, «sono poco lungimiranti e senza capacità strategica». E, per supportare questa tesi, Centomani fa l'esempio delle alleanze: «Chi ti affianca oggi, nel giro di qualche settimana può diventare un nemico. E, infatti, le indagini hanno sempre messo in evidenza l'estrema fluidità dei rapporti tra i vari gruppi camorristici emergenti».


Secondo Centomani, comunque, il fenomeno riguarda tutte le fasce sociali della città ma si manifesta in forma diversa, a seconda dei quartieri che si prendono in esame: «A Posillipo raggiungono i loro obiettivi grazie al benessere economico dei propri familiari - sottolinea -, mentre nel Rione Sanità, a Forcella, nella zona del cosiddetto Vasto, li ottengono attraverso lo spaccio, le estorsioni e anche con il traffico d'armi, il tutto esasperato dal consumo di droga, una volta punito duramente dai boss della cosiddetta camorra classica». Ciononostante, però, secondo il dirigente distrettuale della giustizia minorile campana, «non si deve perdere la speranza di agganciare, in senso educativo, questa tipologia di giovane, per cercare di ricondurlo sulla retta via».


Per Ciro Auricchio, segretario regionale dell'Unione dei Sindacati di Polizia Penitenziaria, «la gioventù dei ghetti e delle periferie della città che il più delle volte finisce in carcere, emula sempre più spesso il linguaggio e le azioni di serial Tv come Gomorra».
Per Auricchio, il fenomeno che Saviano denuncia attraverso media e letteratura diventa, in realtà, «un modello culturale da esaltare per chi ostenta e pratica uno stile di vita criminale». Un modello, conclude il sindacalista, «che lancia pericolosi messaggi di sfiducia e di sconfitta delle istituzioni e delle forze dell'ordine».
© RIPRODUZIONE RISERVATA