Sanità Campania, la Corte dei Conti: «Sui tagli dei primari decidono i manager»

Sanità Campania, la Corte dei Conti: «Sui tagli dei primari decidono i manager»
di Maria Pirro
Mercoledì 9 Marzo 2016, 09:55 - Ultimo agg. 09:58
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I giudici rimandano i tagli nelle Asl e negli ospedali campani. Dicono che loro non possono bloccare il pagamento delle indennità per primariati (523, in totale) e incarichi di dirigenza (1915) considerati in esubero, secondo i parametri stabiliti dalla spending review, perché spetta ai manager della sanità decidere quali strutture eliminare, senza mai trascurare il diritto fondamentale alle cure. Con questa motivazione, i magistrati respingono la richiesta d'urgenza avanzata dai pm della Corte dei Conti con l'obiettivo di prevenire sprechi. Un danno erariale di 16 milioni, solo tra il 2014 e il 2015, è stato infatti ipotizzato dalla procura regionale. «Ma il vero problema è che lo sperpero continua», questa la tesi che ha spinto i magistrati, già nelle scorse settimane e ancor prima di chiudere definitivamente il fascicolo d'indagine, a sollecitare le contromisure considerate però improponibili «per difetto assoluto di giurisdizione». Non solo: «Allo stato, sulla base di una valutazione sommaria della documentazione» che è stata presentata, «non appare ipotizzabile una colpa grave» da parte di manager della sanità, rettori e funzionari tirati in ballo. Insomma, nell'ordinanza, di 61 pagine, appena depositata, è disegnato uno scenario diverso da quello tracciato dall'accusa (pronta peraltro a fare ricorso contro il provvedimento).

Il «presupposto errato»
Si inizia con una differente interpretazione del decreto sui tagli, firmato dall'ex governatore Stefano Caldoro e indicato nella domanda cautelare come prova dei ritardi. Per i giudici, «la Procura muove da un presupposto errato», che consiste nel «ritenere che tutte le aziende sanitarie campane avrebbero dovuto (entro il 10 giugno 2013) sciogliere e far cessare tutti gli incarichi dirigenziali in essere, previsa identificazione di strutture in esubero o inutili». Quel termine non può essere considerato perentorio. Un motivo è che il «processo di riorganizzazione della complessa, enorme e elefantiaca Amministrazione sanitaria campana non può certamente chiudersi in meno di quattro mesi (si consideri che il decreto commissariale che fissa il termine del 10 giugno è del 10 febbraio 2013) proprio per l'esistenza delle gravi criticità che hanno determinato il commissariamento». Di conseguenza, non può essere pretesa una soluzione in tempi record.

Il rischio ricorsi
Per i giudici, già nel 2013 la revoca immediata di «centinaia di incarichi dirigenziali» avrebbe potuto innescare, peraltro, «com'è presumibile immaginare, un contenzioso destinato a durare anni e che produrrebbe ulteriori danni all'Amministrazione» causati dalla «necessità di risarcire i pregiudizi (patrimoniali e non) inferti ai dirigenti per la revoca degli incarichi». Un rischio che, presumibilmente, si prospetta oggi con i primi atti adottati dai manager proprio per correre ai ripari dopo l'intervento dei magistrati contabili.Il giudizio sui managerMeno dura, dunque, è la valutazione sull'operato dei manager. «Le svariate aziende evocate in giudizio dalla Procura regionale non sono in uno stato di immobilismo assoluto», si legge nell'ordinanza. «Non siamo dinanzi ad un'Amministrazione elefantiaca pietrificata, ma al cospetto di Aziende che hanno attivato i complessi processi riorganizzativi finalizzati alla riduzione della spesa (la stessa Procura regionale menziona i tavoli e gruppi di lavori costituiti in seno ad ogni Amministrazione evocata)».

I servizi essenziali
Un'altra questione centrale è la difesa di diritti fondamentali. Per i giudici «non è possibile applicare nell'ambito dei servizi essenziali destinati alla persona umana (quali sanità, sicurezza, scuola, giustizia, eccetera) criteri automatici e meccanici del tipo di quelli invocati dalla Procura regionale», sia pure per tagliare gli incarichi considerati in eccesso che, secondo i magistrati contabili, costano oggi più di 30mila euro al giorno, oltre un milione o addirittura due milioni al mese.

Tra le pieghe del fascicolo, è ricordato che «proprio il Procuratore regionale per la regione Campania, qualche anno, fa prestando omaggio alla logica del bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti» archiviò un'altra vicenda, in ambito scolastico, facendo prevalere queste ragioni sulle «pur forti ragioni poste a presidio della integrità della finanza pubblica», senza ammettere «nessuna invasione di campo». Ecco perché, scrivono i giudici, «fermi restano gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica connessa alla sanità, i tagli di strutture e personale e gli accorpamenti dei reparti e delle unità devono essere sempre effettuati considerando anche gli obiettivi primari di tutela della salute pubblica e dell'utenza, nonché la funzionalità dell'azione amministrativa sanitaria, attraverso decisioni rimesse alle scelte discrezionali delle Aziende sanitarie, che nel rispetto degli indirizzi regionali, dovranno valutare in concreto tutti gli interessi in gioco, identificando le misure organizzatorie necessarie». Ciò significa che i magistrati non possono sostituirsi alla politica: ieri come adesso.