L'esplosione della Caterina Costa 81 anni fa: mistero ancora irrisolto

Il racconto di quel giorno con le parole del giornalista autore del libro inchiesta

La Caterina Costa
La Caterina Costa
di Marco Liguori*
Venerdì 29 Marzo 2024, 19:14 - Ultimo agg. 19:47
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Correva l’anno 1943, domenica 28 marzo. In piena Seconda guerra mondiale, 81 anni fa, fu una giornata tragica e indimenticabile per la città di Napoli: esplose nella Darsena la motonave “Caterina Costa” della Compagnia “Giacomo Costa e Figli”, varata il 14 aprile 1942 nei cantieri navali di Riva Trigoso (presso Genova) e requisita dalla Regia Marina il 21 ottobre dello stesso anno per le esigenze belliche. Il mercantile trasportava i rifornimenti per le truppe dell’Italia fascista e della Germania nazista in Tunisia, ultimo fronte in Africa del Nord: erano strette a ovest e ad est dagli Alleati anglo-americani.

LO SCENARIO BELLICO - Il quadro politico-militare per il regime di Benito Mussolini era diventato sempre più complesso e difficile in quei primi mesi del 1943: in gennaio era stata persa la Libia, conquistata dal generale inglese Bernard Montgomery, mentre la guerra contro l’Urss si era trasformata nella catastrofica ritirata degli alpini e dei fanti del Regio Esercito. Il 6 febbraio Mussolini aveva effettuato un rimpasto di governo che non ebbe gli effetti sperati. In marzo erano scoppiati gli scioperi nelle fabbriche di Torino e Milano: «Sciopero di 100.000 operai torinesi. In tutto il paese si segua il loro esempio per conquistare il pane, la pace e la libertà» titolò il 15 marzo l’edizione clandestina de L’Unità. Si stavano preparando le grandi manovre per il 25 luglio.

L’ALTO COMMISSARIATO - Napoli, come tutte le grandi città italiane, era tenuta sotto scacco dalle continue incursioni dei bombardieri Alleati. Anche in questo caso Mussolini aveva tirato fuori dal cilindro nel dicembre 1942 una nuova carica: l’Alto Commissariato per il Porto di Napoli, dove aveva messo a capo un suo fedelissimo, l’ammiraglio Mario Falangola. La sua istituzione fu in realtà deleteria, poiché il nuovo comando si sommava agli altri otto esistenti senza l’istituzione di un effettivo coordinamento tra tutti. In quel tragico 28 marzo renderà molto difficili le operazioni di soccorso, poiché mancava un comando principale.

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IL PRIMO ERRORE - La “Caterina Costa” aveva svolto cinque viaggi dal novembre 1942 al marzo 1943: le missioni erano partite tutte dal porto di Napoli, la principale base dove venivano allestiti i convogli, e il carico consisteva essenzialmente in viveri e munizioni. Era rientrata nel porto di Napoli alle 4 del mattino del 16 marzo dall’ultimo viaggio a Biserta e fu attraccata alla Calata dei Granili. Tre giorni dopo fu ormeggiata nella Darsena “Armando Diaz” alla radice del Pontile Vittorio Emanuele: viene commesso il primo grave errore poiché la nave, contrariamente a quanto prescrivono le norme marinaresche, viene posizionata con la prua rivolta verso terra. Non solo: la Darsena ha un imbocco stretto ed era piena di chiatte e maone che ostacolavano le manovre d’emergenza.

L’ISPEZIONE A BORDO - La nave era stata oggetto di una duplice ispezione da parte della Commissione di allestimento e imbarco per rilevare i danni subiti dopo quattro mesi di operatività.

Due erano dovuti a un bombardamento nemico: nel verbale numero 380 del 21 marzo 1943 si legge «Rottura, per effetto di scheggia, dei due legnoli del pescante d’acciaio, picco di forza n° 2, lungh. Metri 260, circonf. cm.10 ad ¼ di vita». Il secondo è più importante, poiché era in sala macchine: «Fenditura, per effetto dell’incursione nemica del 15/2/1943, al tubo di aspirazione olio raffreddamento e lubrificazione motore principale». C’è però in quel verbale un altro danno, dovuto a cause di forza maggiore, da tenere presente: «Rottura di un tubo di vapore per incendio stiva n° 6» la stessa, situata a poppa, da cui si alzerà l’enorme fiamma che provocherà l’incendio del bastimento.

MUNIZIONI E CARBURANTI CARICATI ASSIEME - Le operazioni di carico del mercantile si iniziarono il 20 marzo. E qui c’è un altro grave errore. L’ammiraglio Domenico Cavagnari nella Relazione ufficiale d’inchiesta rilevò: «Senonché, per supreme e imperiose esigenze militari il Comando Supremo credette necessario di dover ordinare la caricazione mista e in data 12 marzo emanava a Superesercito, Supermarina e Superaereo nonché all’OBS l’ordine 40313 col quale veniva stabilito che: “Necessità carattere operativo impongono derogare dalle norme di sicurezza fin qui seguite per quanto riguarda carichi misti carburanti e munizioni sulle navi addette al traffico rifornimento Tunisia. Poiché interessa, è ovvio, che siano ridotti al minimo rischi che sistema comporta, è necessario che Enti preposti caricazione navi pongano in essere tutti gli accorgimenti tecnici al fine suddetto». La fretta di spedire più rifornimenti alle truppe in Africa aveva preso il sopravvento sulla sicurezza degli equipaggi e delle città sedi dei porti. Si decise dunque di caricare a bordo della “Caterina Costa” i carburanti a poppa, gli esplosivi a prua, mentre nella zona centrale furono collocate le vettovaglie, i mezzi di trasporto, cannoni e i carri armati. In pratica, un’enorme polveriera sul mare.

LA TRAGEDIA - Attorno alle 14:15 ci fu una violenta esplosione a poppa nella stiva numero 6 contenente i fusti di benzina e gasolio, con un’enorme fiammata di oltre 20 metri. In pochi minuti le fiamme avvolgono la coperta e fanno esplodere i proiettili dei cannoni e delle mitragliatrici di difesa della nave: i marinai dell’equipaggio civile e militare della nave tentano di arginare le fiamme con le dotazioni di bordo, senza successo. I Vigili del fuoco, intervenuti tempestivamente, provano a spegnere l’incendio a poppa con getti di schiuma e d’acqua, ma non riuscirono ad arrestarlo. Mancava l’ammiraglio Falangola a Roma per servizio: come accerterà la Commissione d’inchiesta, non aveva nominato un suo sostituto facente funzioni, né aveva delegato alcuna delle Autorità dipendenti dall’Alto commissariato. Mancava dunque un coordinamento dei soccorsi: alle 15 arrivò l’ammiraglio Pini, ma non prese decisioni. Intanto, le fiamme proseguivano la loro corsa verso le stive di prua, dov’erano collocate le munizioni, tra cui alcune bombe per aerei da 500 kg. E’ commesso un altro gravissimo errore: nonostante il pericolo concreto di un’esplosione della nave, non viene dato il segnale d’allarme con le sirene per condurre la popolazione nei rifugi antiaerei. La vita domenicale cittadina dunque continuava: i tram funzionavano, i treni partivano dalla Stazione Centrale, i cinema e i teatri erano aperti regolarmente e c’era tanta gente per le strade.

Nonostante l’arrivo di Falangola intorno alle 16, la situazione non cambia: si pensò a numerose soluzioni, tra cui il trasporto della “Caterina Costa” al largo e la distruzione della nave a colpi di cannone, ma nessuna fu presa. L’unica decisione concreta fu il trasporto al di fuori della Darsena della motonave “Roselli”, caricata anch’essa con munizioni e carburanti, attraccata a poppa della “Caterina Costa”: ciò evitò un disastro ancora più grave. Alle 17:30 la nave esplose: il suo “fungo” nero pieno di rottami e detriti di metallo provocherà in città almeno 600 morti e oltre 3mila feriti. Cifra stimata, poiché la censura fascista riportò appena 63 deceduti e 1200 feriti. La stessa censura proibì la pubblicazione delle notizie riguardanti l’esplosione: il 1° aprile “Il Mattino” riportò riguardo a uno «(…) scoppio verificatosi domenica scorsa». La successiva inchiesta della Regia Marina porterà all’allontanamento di Falangola e Pini da Napoli: fu l’unico provvedimento preso, mancherà un’inchiesta della Magistratura militare.

IL SACRIFICIO DI GASPARRI E LA DETERMINAZIONE DI FILANGIERI – In quel tragico 28 marzo 1943 perse la vita l’ammiraglio Lorenzo Gasparri. L’alto ufficiale non aveva incarichi direttivi nel porto, ma come seppe dell’incendio della “Caterina Costa”, lasciò la pensione di Mergellina e con la sua auto si recò presso la Darsena. Cominciò a impartire le disposizioni più adatte per cercare di rendere meno gravi possibili gli effetti dell’incendio e l’ormai imminente scoppio delle munizioni a bordo. Gasparri salì su una bettolina affiancata alla nave “Salona” per meglio coordinare le operazioni di soccorso: ma alle 17:30 fu travolto dall’esplosione e ritrovato nello specchio d’acqua presso il Molo Cesario Console. Il suo sacrificio gli valse la medaglia d’oro al valor militare alla memoria che gli fu conferita il 18 maggio 1943.

Il conte Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga era il sovrintendente dell’Archivio Storico di Napoli. Si recò subito a piedi presso il palazzo in fiamme e avvisò i Vigili del fuoco: era caduto un grosso pezzo di lamiera della nave che aveva provocato uno squarcio sul tetto e provocato il crollo del soffitto. Il Gran Libro del debito pubblico del Regno delle Due Sicilie era andato distrutto. La memoria storica di questi preziosi documenti non andò persa: il 14 aprile Filangieri inviò la relazione del professore Giovanni Cassandro al Ministero dell’Interno comprendente la descrizione dettagliata di quanto era stato devastato dall’incendio. Non solo: contattò immediatamente l’ingegnere Capo di Genio Civile di Napoli dove aveva richiesto provvedimenti urgenti per le due sedi di San Severino e di Pizzofalcone.

*Giornalista, autore del libro “Caterina Costa, la nave dei misteri” (De Ferrari Editore) 

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