Parte ad Avellino un laboratorio sperimentale di scrittura. E di lettura

Parte ad Avellino un laboratorio sperimentale di scrittura. E di lettura
di Donatella Trotta
Martedì 3 Febbraio 2015, 23:35 - Ultimo agg. 23:37
5 Minuti di Lettura
Le parole abitate. Non soltanto nei territori geografici, o negli spazi e nei tempi fisici e mentali, ma nei cinque sensi. Nella memoria e nel progetto. E - soprattutto - nelle relazioni: quelle che legano persone e luoghi. Intelligenza ed emozioni. Lettura e scrittura. «Perchè questo è la scrittura: un segno che chiama il pensiero. E la lettura è il pensiero che risponde», come racconta Roberto Piumini in un suo bel romanzo per ragazzi, «Motu-Iti», echeggiando una convinzione di Anna Maria Ortese, riportata in «Corpo celeste»: «Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere. Chi scrive e legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando – per ragioni pratiche – è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. È un povero, e rende la vita più povera».



Sembra partire da queste (e molte altre) premesse il laboratorio sperimentale di scrittura (volutamente senza aggettivi) dal titolo «Parole tra noi leggere», curato ad Avellino dalla scrittrice Emilia Bersabea Cirillo e dall’editor Anna Catapano nella sede dell’Associazione Artistica AnimArte (Via Benedetto Croce 59) dove domani, dalle ore 17.30 alle 19.30, si terrà la prima di dodici lezioni che ogni mercoledì, per tre mesi, cercheranno di dar vita a un piccolo sodalizio di passioni, a una palestra per il pensiero e a una fucina della creatività narrat(t)iva. A partire dalla misura breve (ma non meno impegnativa del romanzo) del racconto: secondo la migliore tradizione italiana, dal «Novellino» al Boccaccio e oltre.



Una misura, del resto, particolarmente cara a Cirillo, autrice irpina di respiro europeo che dagli anni Novanta ha al suo attivo prose di grande intensità, pubblicate in diverse riviste e in volumi (le raccolte «Fragole», 1996, «Il pane e l’argilla. Viaggio in Irpinia», 1999, «Fuori misura», 2001 e «Gli incendi del tempo», 2013), accanto a romanzi come «L’ordine dell’addio» (2005) e «Una terra spaccata» (2010): quest’ultimo una sorta di summa delle competenze della scrittrice, architetto ed «esploratrice dell’esistenza», secondo la nota definizione di Kundera del narratore, legatissima alla sua terra.



Ma come è nata l’idea del laboratorio? «Ad Avellino - spiega Cirillo - non c’è mai stato un luogo per avvicinare le persone alla scrittura attraverso il piacere della lettura. Eppure c’è in giro un grande, confuso bisogno di comunicare. Che paradossalmente, proprio nell’era dell’informazione, non trova adeguato ascolto, e accoglienza. Forse perché scrivere è un fatto assolutamente solitario, che richiede silenzio, tempo, cura, non soltanto tecnica. Perché la scrittura è cercare il proprio sguardo, che si compie attraverso le parole e le storie; è ascoltare la propria voce, mettendone a registro il timbro personale, sentendo e confrontandosi anche con quella degli altri; ed è gustare e annusare il sapore di un testo scavando dentro e fuori di sé e toccando le corde delle emozioni più profonde e autentiche. Per questo - aggiunge Cirillo - abbiamo pensato di tentare questo esperimento: quasi una sfida, nata da un sogno condiviso con Anna Catapano, originaria di Verbania ma residente ad Avellino come me, e attenta editor non a caso uscita dalla scuola della scrittrice napoletana Antonella Cilento, che è stata la prima nel Sud e tra le prime in Italia a insegnare scrittura creativa».



Obiettivi? «La nostra prima aspirazione è ”contagiare“ giovani e meno giovani della città e dei Comuni vicini a mettersi in gioco in questa scommessa di un corpo a corpo con le parole e le cose, vissuta in una sorta di semplice, laica fraternità tesa a costruire rapporti, oltre che scritture. Ma con levità: per questo il titolo ambivalente del laboratorio echeggia lo stesso di Lalla Romano, ma senza l’articolo, perché lèggere e leggère potesse confondersi». Non solo. In campo ad Avellino, da domani, anche un tirocinio di attenzione: «Parola - spiega ancora Cirillo - che per Simone Weil era ”la forma più rara e più pura della generosità“. Ma un’attenzione oserei dire artigianale, proprio come quella che le artiste fondatrici dell’Associazione AnimArte praticano nella sede che ci ospita: Estela Picco, Irene Russo, Arianna Ciamillo e Lidia Martone, impegnate tra pittura, scultura, ceramiche, candele e cucito artistico». Lavori con le mani, e con la mente, che diventano esercizi di stile. E di vita.



Come leggere, e scrivere, appunto: atti che Jean-Paul Sartre usò per scandire la sua autobiografia, «Le parole». Atti per dare un senso al mondo, allo spazio, al tempo, guardandoli con occhi diversi. Per r-esistere, trasformando se stessi e le proprie visioni. E per alimentare le grandi passioni più o meno nascoste in ciascuno di noi, minacciate, ferite a morte o addormentate da quelle che Natalia Ginzburg chiamava le «piccole virtù». Nel laboratorio avellinese lo si sperimenterà per tappe, scoprendo stili registri e tecniche narrative a partire dalla lettura di racconti (con l’aiuto, in molti casi, degli attori del gruppo Vernicefresca guidati da Massimiliano Foà) come «La lezione di canto» di Katherine Mansfield, introduzione al percorso, o «Eveline» di James Joyce o, ancora, «Il nuotatore» di John Cheever.



Ma quanto facilita questo cammino di formazione (o di messa a fuoco di una necessità interiore, per parafrasare Rainer Maria Rilke) una piccola città come Avellino, più raccolta e meno dispersiva di una grande città?



Cirillo è critica. Riprende un ragionamento espresso lo scorso dicembre su suo blog letterario «Fuori Misura. Perché fuori misura è la vita di chi scrive». E osserva: «Personalmente, penso che scrivere abbia a che fare con un luogo, il proprio, e la scrittura debba testimoniare l’appartenenza ad un luogo, così che tu possa essere riconoscibile. Perché chi scrive parte sempre da un luogo per dire se stesso, e i luoghi sono già la tua scrittura. Ma per me un conto è l’Irpinia, che è tanto dei miei scritti, un altro conto è Avellino. L’Irpinia interna, dove la terra trema ed insieme è solida perché all’argilla si mescola la pietra, è stata terra di emigrazione e di ritorni. Richissima, dunque, di storie. Al contrario Avellino è terra di passaggio e passeggi. Un ingarbuglio di tracce, che non hanno mai creato una rotta: poco movimento, poche prospettive. La città è paludosa, e ogni cosa soccombe qui alla logica del perdere con una smania molto italiana, molto modernista del Sud di cambiare, di abbellirsi, di apparire, dimenticando invece che c’è una sostanza a cui guardare. Il proprio sapere. I propri maestri. Francesco De Sanctis, che dovrebbe essere letto nelle scuole insieme con Guido Dorso, tanto per cominciare. Ma poi si dovrebbe tornare ai caffé, alle librerie che invece continuano a chiudere, alle associazioni, ai luoghi del trovarsi, ai luoghi del vedersi, ai luoghi della parola».



La parola abitata, appunto. Fuori delle paludi del conformismo. E dell'indifferenza. La parola radicata, capace di trovare incanti anche nelle periferie e nella marginalità, dischiudendo orizzonti inattesi e preziosi in quel «piccolo orizzonte fatto di montagne e di paesaggi e di silenzio», che, conclude con amarezza Cirillo, «convince i giovani e non solo, sempre di meno a restare. Il laboratorio, in fondo, è anche un tentativo di invertire questa tendenza».
© RIPRODUZIONE RISERVATA