Angioni: l’Italia da sola non può andare all’offensiva

di Ebe Pierini
Lunedì 25 Aprile 2016, 23:34
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La Libia chiede aiuto. C’è da difendere i pozzi petroliferi dai continui attacchi dei miliziani dell’Isis. Un invito formale da parte del governo di Al Serraj che potrebbe spianare la strada ad una missione militare internazionale. Il generale Franco Angioni, che dal 1982 al 1984 guidò il contingente italiano in Libano, analizza la situazione della Libia.

Il governo libico ha chiesto all’Onu, aall’Ue e agli Stati africani confinanti aiuti per proteggere le risorse petrolifere. Un invito alla comunità internazionale a fornire supporto militare. In cosa consisterà?

«Una risoluzione dell’Onu agevolerebbe il processo. Poi occorre una coalizione. Dovrà essere certo che la Libia manifesti una coesione efficace. Ci sono 44 tribù e 3 substati che devono esprimere un’adesione convinta. Ci sono influenze da parte dell’Egitto e di altri Paesi arabi. Perché un intervento abbia successo dovrà essere sostenuto dall’Onu e sponsorizzato dall’Ue e dalla Nato perché si possa trasformare in concreto un intervento pianificato sulla carta. Ci sono due tipi di operazioni: quella offensiva finalizzata ad eliminare, arginare e a neutralizzare eventuali minacce e quella difensiva che ha l’obiettivo di creare un presidio diretto di un’area come si andrà a fare ad esempio nei pressi della diga di Mosul. Ma va predisposta la situazione in modo che non si sia costretti a subire attacchi. Eventuali attacchi via terra, mare o aria da parte dell’Isis ai pozzi petroliferi vanno previsti».

Renzi ha detto che l’Italia è pronta a dare una mano. Come ci comporteremo?

«L’Italia dovrà fare in modo di aggregare una coalizione coesa perché si appresta ad assumere il ruolo non facile della guida. I militari potranno essere chiamati a presidiare le aree interessate. Le nostre forze hanno capacità di progressione, attacco e difesa. L’Italia non potrebbe dare più di due brigate. Ribadisco che, per motivi tecnici e politici, l’Italia non può e non deve essere una protagonista isolata di una missione».

Il ministro degli Esteri inglese, Hammond, non ha escluso l’invio di soldati in Libia per combattere l’Isis. Che ne pensa?

«Una dichiarazione politica impegnativa. L’Isis rappresenta una minaccia per tutti gli Stati democratici e per tutti i Paesi europei. Alla base di questa presa di posizione c’è la minaccia continua dell’Isis che deve essere affrontata e annientata».

Il generale Haftar ha ricevuto un carico di mezzi corrazzati e munizioni e si appresta a liberare Sirte dall’Isis. Come valuta la sua posizione?

«Haftar è una spina nel fianco perché gode dell’appoggio e della solidarietà dell’Egitto e dell’Arabia Saudita mentre non gode di buona fama presso il governo libico di Al Serraj. Dispone di mezzi importanti ma il governo libico si limita a sopportarlo».

Che ne pensa di replicare in Libia il modello di accordo turco per l’emergenza migranti?

«La Turchia ha un governo che ha facoltà di decisione e di azione.
In Libia c’è invece un magma. Non si può riporre la stessa fiducia che abbiamo riposto sul governo turco anche sul governo libico. Per il momento la Libia rappresenta un’entità politica non unificata».
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