Ad Haifa, dal prossimo autunno, l’università avrà una rettrice donna. Cristiano maronita, e araba. Ad Haifa, cioè nello Stato di Israele. Ma nelle università italiane cresce la protesta degli studenti, che chiedono di interrompere ogni partecipazione degli Atenei ai bandi di cooperazione con Israele. Perché Israele e un paese in guerra, perché la guerra è una guerra di occupazione e di sterminio, perché la guerra di occupazione e di sterminio fa troppe vittime innocenti fra la popolazione civile.
I o non so come farà Mona Maroun, che leggo essere studiosa difama mondialenel campo delle neuroscienze, a portare avanti i suoi impegni di ricerca,nonostante il peso dei compiti amministrativi connessi alla carica di Rettrice,ma le università italiane, sotto la spinta del movimento studentesco, provano a semplificarle le cose: niente collaborazioni, niente progetti comuni, niente diniente. Haifa, Mona Maroun, portanouna colpa troppo grande: sono israeliane e, coni palestinesi sotto il tallone dell’esercito israeliano a Gaza, non si può fare finta di nulla. Sarebbe pura ipocrisia. Chissà, però, se è ipocrita pure il presidente della Repubblica italiana, chenon più tardi della settimana scorsa ha detto: il dibattito, il dissenso, la critica – elementi che nelle università nutrono e sostengono la formazione e la trasmissione del sapere – «sono collegati al di sopra dei confini e al di sopra dei conflittifra gli Stati».
Sergio Mattarella ha detto pure che le disdette degli accordi conle università israeliane, che piovono in queste settimane, non aiutano né i diritti né la pace – sicuramentenon aiutano Mona Maroun –, ma immagino che simili parolenon vengano considerate dalle reti di studenti per la Palestina un invito alla saggezza, alla moderazione, al dialogo, bensì una vergognosa forma di complicità conl’oppressore. Eppure basterebbe chiedersi dove si nascondono i veri semi di pace – nel ricacciare gli uni e gli altri nei rispettivi odii, nei rispettivi rancori, nell’alimentare inIsraele la sindrome dell’accerchiamento, o piuttosto nel favorire le occasioni di confronto, di apertura, di superamento dei confini, di interdipendenza scientifica e culturale, dimescolamento delle identità? – per mettere in dubbio la sensatezza di una simile,indiscriminata protesta.
La quale, se dà un segnale, lo dà sbagliato. Basta leggere il volantino diffuso dagli studenti napoletani della Federico II, inoccasione dell’incontro conil Rettore, Matteo Lorito, che in segno di attenzione verso le ragioni della protesta ha lasciato il comitato scientifico della Fondazione MedOr, perché facente capo a Leonardo, cioè al principale gruppo industriale nel settore della difesa e della sicurezza che abbiamo inItalia (poi, in separata sede, si potrebbe fare pure una discussione – questa, sì, senza ipocrisie – appunto su democrazia, difesa e sicurezza, e su comeun Paese possa sedere nei principali consessi internazionali senza avereuna certa ossatura industriale, certi obblighi e certe connesse responsabilità: per abbattere i droni che ti piovono sul capo, ad esempio, con costosissimi sistemi d’arma che, guarda unpo’, richiedono enormi investimenti sulla ricerca perché non sitrovano su Amazon).
Ma dicevo il volantino, dove si richiede «la rescissione ditutti gli accordi di collaborazione, ricerca e mobilità internazionale con le università israeliane».