Mercadante, De Fusco: «Non perdo io, è la città che vince»

di Luciano Giannini
Martedì 24 Febbraio 2015, 23:35 - Ultimo agg. 23:36
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«È come se in un solo anno il Sassuolo entrasse in Champions». Il direttore Luca De Fusco usa un paragone calcistico per commentare la vittoria: l’ingresso dello Stabile di Napoli nell’empireo dei teatri pubblici, i nuovi sette Teatri Nazionali previsti dalla riforma della prosa.



Il Sassuolo, direttore?

«Certo. Quando abbiamo accettato la missione impossibile di concorrere alla gara per i Teatri nazionali, non avevamo nessuno dei requisiti richiesti dal Ministero: il San Ferdinando ci era stato assegnato provvisoriamente; non c’era un’Accademia d’arte drammatica… e qui ringrazio il Comune che ci ha permesso di avere sia il teatro di Eduardo in via definitiva, sia una scuola diretta da Luca De Filippo. Anche l’attività artistica era la metà di quella richiesta».

Lo Stabile di Napoli era anche il più giovane.

«E dato che lo Stato dava le sovvenzioni in base all’anzianità, noi eravamo al 15mo posto, con circa 380 mila euro netti. Dopo di noi c’erano soltanto gli Stabili dell’Aquila e di Trieste. Ora siamo il settimo Teatro Nazionale. È un miracolo, se penso da dove siamo partiti. In un anno e mezzo abbiamo raddoppiato le dimensioni dell’azienda. Ringrazio i soci, innanzitutto Regione e Comune, per l’impegno profuso».

Tra i Teatri Nazionali c’è Napoli e non Genova.

«Mi dispiace molto per Genova, che è stato un grande teatro pubblico. Ma sulla scelta della commissione hanno pesato la ricchezza della tradizione teatrale napoletana e il buon lavoro che abbiamo svolto. La nostra domanda è stata accettata perché credibile».

Su questo il Comune ha dei dubbi. Nel comunicato diffuso nel pomeriggio si legge: «I punteggi attribuiti dal Ministero dicono chiaramente chi ha lavorato bene: ci hanno riconosciuto come punti di forza il rilancio del San Ferdinando e il progetto della scuola, mentre ci hanno penalizzato le polemiche sulla cattiva gestione del recente concorso, e abbiamo avuto un basso punteggio sulla programmazione della direzione artistica».

«Io non vorrei che questa grande vittoria della città fosse vista come una sconfitta. Sarebbe il colmo. Un programma triennale, basato sull’articolazione avveduta di trilogie, con registi come Pasqual e Arias, scrittori come Cappuccio e la Parrella, mattatori come Gabriele Lavia e Mariano Rigillo è considerato debole? Mi sembra difficile sostenerlo. Certo, il programma è stato condizionato da una esigenza: riempire le sale più di prima. Con la mia gestione il numero degli abbonati è raddoppiato. Ma ce ne vogliono ancora di più per l’attività richiesta dal Ministero a un Teatro Nazionale. Perciò abbiamo accostato alle novità contemporanee molto repertorio. Per attirare pubblico».

Le polemiche sulla cattiva gestione del concorso.

«Ne sono convinto: quel che è successo in queste settimane ha dato una immagine negativa dello Stabile. Ma non si tiene conto che abbiamo fatto le assunzioni all’ultimo minuto, sempre per raggiungere i requisiti richiesti dal Ministero. Avremmo potuto agire per chiamata diretta, abbiamo scelto la trasparenza. Su di essa s’è montato un can can di pettegolezzi e scontento. Per fortuna ora la magistratura farà chiarezza».

E la sinergia tra Teatro Nazionale e Napoli Teatro Festival Italia, sempre da lei diretto?

«Senza il Festival lo Stabile avrebbe già chiuso. Le coproduzioni gli hanno permesso di sopravvivere in periodi difficilissimi. Grazie a quella sinergia, “Circo equestre Sgueglia” di Viviani, diretto da Arias, dopo il debutto al festival ora è in scena al San Ferdinando e a marzo sarà in tournée in Francia. Continuo a credere che Teatro Nazionale e festival dovrebbero essere una sola azienda. Escobar a Milano dirige il Piccolo e due rassegne a esso legati e nessuno si scandalizza».

Il futuro del Trianon: potrebbe essere il terzo palcoscenico del Teatro Nazionale?

«Finora nessuno ci ha posto il problema. Se ce lo porranno, ce ne occuperemo, certo... e se ci assicureranno i soldi per farlo funzionare. Ma ora il primo obiettivo è mettere in pratica il programma stabilito per i prossimi tre anni. Insomma, essere degni del nuovo status. Intanto, proviamo a essere tutti orgogliosi di questa vittoria, provando a capire un fatto semplice: questo Teatro Nazionale non è di De Fusco e del presidente Giannola, ma di Napoli».