"Candidiamo san Gennaro a patrimonio Unesco"

"Candidiamo san Gennaro a patrimonio Unesco"
di Pietro Treccagnoli
Domenica 3 Aprile 2016, 00:03 - Ultimo agg. 08:28
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Altro che «San Gennà futtatenne», la famosa scritta che apparve sui muri di Napoli quando oltre quarant’anni fa il patrono prodigioso fu declassato a santo di serie B, per essere poi risarcito da Giovanni Paolo II. Adesso, san Gennaro si candida a diventare Patrimonio dell’Umanità. La scorsa settimana, la Deputazione della Cappella del Tesoro ha deliberato all’unanimità di proporre all’Unesco, come «bene immateriale», il rito del principale protettore di Napoli. Si dà il via a un iter lungo, ma il santo non ha fretta. Bene immateriale è il prodigio e tutta la cerimonia annessa, ma molto materiale e ricchissimo, dal punto di vista artistico e anche economico (ma assolutamente non commerciabile), sono il Tesoro e la stessa Cappella barocca che tutt’assieme rappresentano un prezioso e unico tassello nella storia della città, da custodire e da valorizzare. San Gennaro, secondo calcoli ufficiosi, ha oltre 25 milioni di devoti sparsi nel mondo (tantissimi nelle due Americhe), è già un Patrimonio nei fatti, titolo conquistato sul campo.

La procedura è stata avviata. Toccherà aspettare. Ma per il patrono sul campo resta una battaglia più stringente: quella tra la Deputazione e il ministero dell’Interno per la laicità dell’istituzione che dal XVII secolo è delegata dalla città di Napoli a custodire le reliquie, le ampolle miracolose, la Cappella e il Tesoro straordinariamente accresciuto con il tempo. È in corso un braccio di ferro giuridico che ha provocato una forte e ininterrotta mobilitazione popolare. La vicenda è nota, ormai, e ha fatto il giro del mondo. Domani c’è la prima scadenza legale. La Deputazione presenterà, proprio nell’ultimo giorno previsto, il ricorso contro il decreto firmato dal ministro Angelino Alfano che, rifacendosi a una legge del 1985, equipara la Deputazione a una Fabbriceria e impone l’apertura a membri nominati dalla Curia.

Uno stravolgimento che, secondo la Deputazione, a capo della quale in qualità di presidente c’è il sindaco di Napoli, minerebbe alla base un’istituzione secolare. Il ricorso sarà notificato al ministero, alla Prefettura e alla Curia, che, secondo gli organizzatori della protesta popolare, tirerebbe le file dello snaturamento della laicità del santo. Dopo la notifica ci sarà almeno un altro mese per depositare il ricorso al Tar e il testo sarà pubblico. Si tratta di un testo molto dettagliato di circa trenta pagine, elaborato dal delegato agli affari legali della Deputazione, Riccardo Imperiali di Francavilla, e dall’avvocato Enrico Soprano. Al di là degli aspetti giuridici più stretti c’è un lungo excursus storico che definisce la natura sui generis della Deputazione e l’unicum rappresentato da san Gennaro, patrono e cittadino, che, per una tradizione risalente alla notte dei tempi e alla luce della fede, appartiene al popolo di Napoli. Il santo protegge la città, in virtù di un vero e proprio contratto firmato nel Cinquecento davanti a tre notai. In cambio il popolo gli ha eretto una Cappella che appartiene alla città e non alla Curia, che è stata dei secoli sempre e solo sostenuta anche economicamente dalla città e non dalla Curia.

Una particolarità che in diverse occasioni è finita nel mirino dei cardinali napoletani che però si son dovuti fermare per gli interventi, a favore della Deputazione, degli stessi pontefici. «Abbiamo voluto mettere a punto una ricostruzione puntuale degli aspetti storico-civile» chiarisce Imperiali di Francavilla «per offrire al ministero e alla Curia un’occasione di riflessione». È stato evitato, per quanto possibile, uno stile leguleo e sono stati messi in fila argomenti di una dissertazione logico-giuridica per far capire lo scivolone nel quale si è incorsi con il decreto dello scorso 22 gennaio. Un errore del quale, anche grazie alla mobilitazione popolare, si stanno rendendo conto, perché è stata messa in dubbio una unicità che ha resistito fino al 2016.

L’obiettivo è, certo, il ritiro del decreto e la conferma della laicità del governo della Cappella. «Ma vogliamo che si lavori insieme, Curia e città per un futuro di pace e serenità» commenta, porgendo il ramoscello d’ulivo, Imperali di Francavilla. Un risultato, apparentemente secondario, ma invece fondamentale, è stato comunque raggiunto. «Si è andati a colmare una lacuna» aggiunge il delegato per gli affari legali della Deputazione. «Gran parte della città, persino quella colta, ignorava il carattere laico di san Gennaro. Ora è un patrimonio di conoscenza diffuso e capace di suscitare sentimenti di appartenenza e di identità che rappresentano un valore culturale per Napoli». Si procede su un percorso diplomatico, quindi, ma senza concessioni nella sostanza. Intanto si avvicina un’altra scadenza decisiva. Per il 30 aprile è previsto il miracolo della Traslazione, uno dei tre appuntamenti con lo scioglimento del sangue, che, come per ogni sabato precedente la prima domenica di maggio, si tiene nel Monastero di Santa Chiara, dopo la processione lungo Spaccanapoli. Il clima di questi ultimi mesi è foriero di tensioni che sicuramente il prodigio scioglierà.

La mobilitazione, culminata con il flash mob sul sagrato del Duomo, è proseguita con una raccolta di firme per chiedere ad Alfano il ritiro del decreto della discordia.
Tra cartaceo e online si è già a 11mila adesioni, molte arrivate dall’estero. Non è escluso che durante la cerimonia ci sia qualche espressione di malcontento, probabilmente limitato a uno sventolio di fazzoletti bianchi non al momento canonico dell’annuncio dell’avvenuto prodigio, ma durante l’omelia del cardinale Crescenzio Sepe. Un dissenso composto e niente più. La soluzione deve arrivare da Roma ed è prevedibile che tutto resti congelato per mesi e mesi. I tempi della burocrazia sommati a quelli della Chiesa potrebbero essere lunghissimi. Non è escluso che l’Unesco faccia prima.
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