Scrittori “medi”: dov’è finita la letteratura?

di Fabrizio Coscia
Lunedì 15 Aprile 2024, 23:30 - Ultimo agg. 16 Aprile, 06:00
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Mentre leggo il nuovo romanzo di Domenico Starnone, «Il vecchio al mare», una domanda continuaa girarminella mente. La domanda è questa: come mai Starnone è considerato un «grande scrittore»? Anche perquest’ultimo suo librogli elogi esagerati si sprecano. Perfino un autore davvero originale e innovativo come Tiziano Scarpa lo ritieneunoscrittore «unico».

Nicola Lagioia, invece, su Facebook, cita il suo «Via Gemito» come modello del libro «Ilfuoco che ti porti dentro» di Antonio Franchini, definito quest’ultimo, con altro giudizio iperbolico, «uno dei maestri della letteratura italiana contemporanea».I due scrittori, secondo Lagioia, sono autori «decisamente impastatinella tradizione italiana» e «capaci, quella tradizione, di portarla avanti». Ma è davvero così? Che libro ha scritto Starnone? È, questo libro sulla vecchiaia e i ricordi, sull’amore e l’ombra sempre inseguita della madre,un libro incui si può trovare una qualche verità? Non credo.

Piuttosto un cesello, un’idea preconfezionata, sì, un ammiccamento,un mettersi inposa. La stessa posa (intesa come sapiente artificio) che, non a caso,troviamo nel memoir di Franchini, incui si racconta anche qui, ma con studiata provocazione, della propriamadre, madre odiata stavolta, con un incipit dedicato alla puzza che emana dal suo corpo e con tuttoun corteo di personaggi da farsa napoletana. Niente di male,intendiamoci: è quello che fa, in genere, la letteratura «midcult», ovvero cerca di piacere, cerca di sedurre, oppure di scuotere, di impressionare, inogni caso di adescare il lettore inducendolo a sentirsi migliore, più colto, più intelligente.È una letteratura che esiste, cioè, solo in funzione del pubblico per il quale è costruita. Basti pensare a un altro recente libro sulla vecchiaia e il desiderio, «Il polacco» di J.M. Coetzee, permisurare tutta la distanza che corre tra un libro medio e ungrande libro. Seguendo il metodo di Harold Bloom, che sceglieva la lettura di un’opera in base al suopotere cognitivo, all’originalità e allo splendore estetico, potremmo tranquillamente affermare che il libro di Coetzee risponde a questitre criteri e quello di Starnone no. Certo, direte, quanti libriitaliani contemporanei riescono a soddisfarli? Guardiamo alla dozzina finalista del premio Strega.

In un recente articolo su «L’Unità» Filippo La Porta lamenta in quasi tutti ititoli un eccesso di contenutismo e lamancanza di uno stile.

Non se se sia proprio così.Ci sono, nella dozzina, alcuni validi e meritevoli libri, validi e meritevoli almeno quanto «Il vecchio almare» e «Ilfuoco che ti porti dentro». A me pare che il problema sia altrove. Se Starnone viene considerato ungrande scrittore, il motivo non è tanto la scomparsa dello stile, come La Porta dice, e dunque un abbassamento generale del livello medio della letteratura italiana contemporanea, che renderebbe nella terra dei ciechi beati chi ha un solo occhio.

Il problema è che nella letteratura italiana degli ultimi decenni,nel passaggio tra il Novecento e il Duemila, si è verificato un mutamento epocale: la perdita di una relazione fra l’autentica esperienza della realtà e la consapevolezza della scrittura,intesa quest’ultima non solo intermini di stile, ma anche di complessità strutturale e visione del mondo.La convenzionalità narrativaha preso così, per la stragrandemaggioranza (salvo alcune isolate eccezioni)il posto del potere cognitivo, dell’originalità e dello splendore estetico. Non so se Starnone sia davvero Elena Ferrante, come si dice. Né credo sia importante saperlo.

Certo, se lo fosse, il discorso sarebbe ancora più pertinente. Resta ilfatto che, inogni caso, lamedietà della sua scrittura, confermata anche dalla facilità concui da essa vengono adattatifilm e fiction tv, lo ha reso lo scrittore piùfunzionale a rappresentare questa convenzionalità. Ciò perché, al contrario di quello che scrive Lagioia, i suoi libri (proprio come quelli della Ferrante) non sono «impastatinella tradizione italiana», ma di quella tradizione sono piuttosto lo svuotamento, il depotenziamento. Sul perché, poi, si sia verificata questa perdita del legame tra esperienza della realtà e consapevolezza della scrittura, si potrebbero scrivere interi saggi (è lo stesso motivo, del resto, per cui è scomparsa la critica letteraria).

Ma potremmo limitarci a dire soltanto che eleggere il medio a paradigma è stata una scelta dimarketing editoriale e più in generale di politica culturale. Ciò significa che la vera letteratura inItalia è destinata a sparire? No, di certo: esiste, continuerà a esistere, ma sempre più marginale, sempre più sommersa, e sempre più difficile da scovare.

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