Perché Crocetta deve andare a casa comunque

di Giovanni Fiandaca
Domenica 19 Luglio 2015, 00:09 - Ultimo agg. 00:10
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La vicenda Crocetta sembra esibire una complessità tale da risuscitare alcuni stereotipati pregiudizi su di una Sicilia persistente fonte di trame oscure, di verità plurime e pirandellismi.



E anche di imposture e di eccedenze sia morali (nel bene e, più spesso, nel male) che psicologiche. Ma incombe il rischio che l’attaccamento acritico agli stereotipi induca, alla fine, a sottovalutare la portata drammatica di alcune questioni sottostanti, che ben trascendono i confini isolani.



La prima grossa questione riguarda, ancor prima che i rapporti tra politica ed etica pubblica, il modo stesso di fare politica di governo oggi. Alludiamo ad un’azione politica che da tempo non si estrinseca più in una impresa collettiva sulla base di idee e programmi, ma si affida al (reale o presunto) carisma e alla capacità comunicativa di un singolo leader, che assume spesso atteggiamenti populistici, si circonda di sodali e amici costituenti il “cerchio magico” cui delegare porzioni di comando e – non a caso – ostenta superiorità e disprezzo nei confronti di quelle stesse forze partitiche locali a lui sottomesse e prive di reale influenza che formalmente gli consentono di tenere in piedi un governo. Orbene, Crocetta come governatore della Sicilia da circa due anni e mezzo ha esemplificato, direi in modo estremizzante e persino caricaturale, questo modello personalistico di fare politica. Di suo, egli infatti ha aggiunto una sostanziale incapacità e inconcludenza politica, mascherate a parole da una sedicente rivoluzione culturale di ascendenza gramsciana (in realtà egli si è, molto meno nobilmente, avvalso di pezzi o cespugli di politica trasformistica saliti sul suo carro per sopravvivere, riciclarsi e spartire posti di potere) e da una retorica antimafiosa contraddetta, nei fatti, da forme di antimafia opportunistica o di facciata alimentate anche dalla sua azione governativa.



Ma non basta. Ad aggravare il quadro hanno, non poco, contribuito alcune – per dir così - eccedenze di personalità a lui peculiari, che hanno avuto per effetto di far sempre prevalere rispetto a un minimo disegno politico sensato un incoercibile estremismo narcisistico, cioè una esasperata tendenza psicologica ad agire da prima donna, ad assumere atteggiamenti istrionici, umorali e non di rado bizzosi e contraddittori. A ciò si aggiungano la dichiarata omosessualità e una cerchia di amicizie personali, vissute però in forme e con implicazioni tali, da interferire alla fine – ecco il punto – con la sua azione e immagine pubblica di uomo politico e di uomo di governo. Una riprova emblematica: nel drammatico intervento tenuto alla direzione del Pd siciliano dopo le dimissioni di Lucia Borsellino, Crocetta ha imperniato gran parte del suo discorso sulla sua omosessualità quale pretesto di attacchi di cui sarebbe vittima, sulla sua vita privata messa in piazza a causa dell’arresto del suo amico e medico personale Tutino (favorito nel trasferimento come primario a Palermo), sui ventilati sospetti di aver intrattenuto una relazione anche con quest’ultimo, ma eludendo del tutto i nodi politici sul tappeto e lasciando così interdetti e sconcertati i dirigenti politici presenti in sala (cfr. Repubblica-Palermo del 5 luglio 2015). Com’è ovvio, il problema non è l’omosessualità in se stessa.



Come nel caso di Silvio Berlusconi, a poter costituire problema è l’interferenza dello stile sessuale di comportamento sull’attività e sull’immagine pubblica dell’uomo di governo.



In questo scenario complessivo fatto molto più di ombre che di luci, la veridicità o meno dell’ormai arcinota, e moralmente agghiacciante, intercettazione riportata dal settimanale l’Espresso può non essere di per sé decisiva ai fini di un giudizio etico-politico su Rosario Crocetta. Certo, se l’intercettazione è vera (come peraltro sembra più probabile, a dispetto delle discutibili smentite della procura palermitana), nessuna difesa può sottrarlo ad una condanna pubblica in termini di un’indegnità morale assoluta, come persona prima ancora che come politico.



Ma, se si trattasse di un falso (cosa verosimilmente meno probabile e, comunque, oggettivamente difficile da accertare), sarebbe nondimeno sbagliato o troppo comodo – come qualche suo sodale politico comincia a fare, dopo averne in un primo tempo preso le distanze! - riconoscerlo come vittima di un complotto ordito ai sui danni da un qualche oscuro potere a lui avverso e riaccreditarlo, perciò, come un eroe-antimafia duro e puro. Lungi dal poter essere ricollocato sugli altari, Crocetta rimarrebbe un politico incapace, rinnovatore a parole e nei fatti tutt’altro che alieno sia da propensioni clientelari-trasformistiche, sia persino da un uso personalistico e capricciosamente arbitrario del potere, con inevitabili ripercussioni assai negative anche sul piano dell’etica pubblica.



Un governatore, dunque, da mandare a casa in ogni caso, come peraltro si sarebbe già dovuto fare da qualche tempo se la politica fosse degna di questo nome. Senonché, l’attuale dirigenza politica siciliana nei confronti del governatore tiene un atteggiamento contraddittorio e oscillante, un giorno decreta la fine del suo governo e il giorno successivo (o il pomeriggio dello stesso giorno) lo rimette in sella per il grande timore che, se si andasse a rivotare subito, vincerebbero probabilmente i grillini. Timore legittimo, forse, nell’ottica autoreferenziale del partito democratico siculo. Solo che, oscillandosi fra tragedia e farsa, a rischiare di morire è la stessa Sicilia.



Nel contempo, la vicenda Crocetta esemplifica nello specifico siciliano il difficile modo d’atteggiarsi, oggi, dei rapporti tra il Pd nazionale e i diversi contesti politici territoriali. Non va appunto dimenticato che il governatore siciliano ha vinto le elezioni come candidato del partito democratico, e che egli – almeno formalmente – continua a farne parte. Orbene: quale capacità di orientamento e controllo Renzi e il suo cerchio magico riescono in atto a esercitare sulla conflittuale, frammentata e nebulosa realtà di un Pd come quello siciliano, dove si trova di un pò di tutto (e del contrario di tutto)? Ovviamente, un problema analogo riguarda le altre realtà regionali e locali, incluse Roma e Napoli.



Rimane, non ultima per importanza, la attualissima e sempre più grave questione generale dell’uso indebito delle intercettazioni, che come tale evidentemente prescinde dal merito dei casi specifici. Assistiamo, ormai, a un tale infittirsi di pericolosissimi fenomeni di strumentalizzazione per i fini più svariati e dai fronti più diversi non di rado in collegamento (media, magistratura, forze dell’ordine, servizi segreti, mondo economico-imprenditoriale e potentati vari) che, forse, non è esagerato parlare di vera e propria emergenza costituzionale da affrontare in maniera risoluta e urgente.



Ma che le forze politiche siano effettivamente consapevoli del livello di gravità di questa emergenza (al di là delle contingenti e non disinteressate reazioni che scattano, qua e là, quando singoli politici ne sono direttamente toccati), e soprattutto siano davvero capaci una buona volta di affrontarla in maniera adeguata, è lecito purtroppo dubitare. Anche se cresce il rischio che, lasciando le cose come stanno, la malattia si aggravi ulteriormente con crescenti effetti perniciosi sull’intero sistema democratico.