Inferno Rosarno, in 6 anni
non è cambiato nulla

Inferno Rosarno, in 6 anni non è cambiato nulla
di Gigi Di Fiore
Giovedì 9 Giugno 2016, 13:50
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La chiamano la «fabbrichetta» ed è un brutto manufatto mai utilizzato dietro la fila delle tende azzurre. Lì dentro, ci sono ammassi di sacchi a pelo, contenitori e bottiglie usate, avanzi di cibo. E decine di giovani africani, in cerca di riparo per una o più notti. Di passaggio, per racimolare 22 euro al giorno spaccandosi la schiena nei campi di mandarini. Molti vengono dalla provincia di Caserta, itineranti del lavoro precario si spostano dove si può guadagnare seguendo le stagioni dei raccolti. Poi, finito qui, in provincia di Foggia per i pomodori o di nuovo nell'area casertana.

La «fabbrichetta» è uno dei manufatti dell'area industriale del comune di San Ferdinando, mai entrati in funzione. Sei anni dopo la famosa rivolta di Rosarno, ha preso il posto dell'ex cartiera Modul System, ormai chiusa e murata, dove erano arrivati a dormire anche in 600. Dall'ex cartiera ci fu lo spostamento all'Opera Sila, un ex oleificio nel vicino comune di Rosarno. La rivolta di sei anni fa portò allo sgombero anche di quella. Tetti per migranti transitori, giovani sotto i 30 anni che arrivano da Mali, Gambia, Costa d'Avorio, Senegal, Burkina Faso.

Davanti la «fabbrichetta», ci sono 72 tende ufficiali azzurre ormai malandate, con panni stesi, corde, cassette di legno diventate tavolini, bottiglie d'acqua e focolari improvvisati. È il campo dove è morto il giovane Sekine Traore. La tendopoli, voluta quattro anni fa dal ministero dell'Interno, doveva ospitare 300 persone in tende da sei posti. Quando va bene, ce ne sono non meno di 500 e colpisce che siano quasi tutti giovani uomini. Nessuna famiglia, nessun bambino, pochissime donne.

È gente che si trova qui solo per il lavoro stagionale dei campi. E racconta un uomo originario del Mali: «Non ci conosciamo tutti, perchè molti rimangono poco e poi partono. Tra noi, ci sono alcuni che sanno come vanno le cose e prendono tre euro da ognuno per fare da tramite con chi cerca lavoranti nei campi».Sfruttati e sfruttatori insieme, in un'area diventata grattacapo anche per i tre commissari che dal 2014 sono al Comune, dopo lo scioglimento dell'amministrazione per infiltrazioni mafiose. In quest'area, già precaria, si moltiplica il precariato del precariato. Gli ospiti crescono di continuo e si arrangiano: accanto alle tende ufficiali, sono spuntate non meno di 150 baracche abusive. Pochi mesi fa, un fornellino a gas esplose e la baracca di lamiere e legno si incendiò. I tre che erano dentro si salvarono per miracolo.Nel campo la luce elettrica arriva a fasi alterne. Il fai da te è la regola e ci sono decine di alimentatori a benzina.

C'è una tenda bianca con la scritta «Caffè», dove vendono bibite. C'è uno spaccio dove, su un tavolaccio, si tagliano anche pezzi di carne e si pesano su una bilancina per venderli. Se non fosse per i fuochi improvvisati, o le bombole a gas per i fornelli da campo, non si potrebbe neanche riscaldare l'acqua per farsi una doccia improvvisata. Un campo che è spuntato sulle ceneri della rivolta di sei anni fa. L'intollerenza è rimasta, come la precarietà di questi lavoratori senza futuro. Da dicembre ai primi mesi di quest'anno, ben sette sono state le denunce di aggressioni agli immigrati. Qualcuno ha raccontato che si fermava un'auto bianca, ne scendevano quattro persone e giù bastonate. La lezione di sei anni fa non è bastata e i carabinieri hanno il loro gran da fare per garantire tranquillità e coabitazioni non sempre facili. Come è successo in mattinata e come dimostrano le auto dei militari ancora in giro.

Non molto tempo fa, i Medici per i diritti umani (Medu) hanno diffuso i dati del loro lavoro sulla tendopoli. Arrivando in auto, o nell'ambulatorio di Polistena, due medici hanno visitato decine e decine di immigrati. Il quadro emerso è disarmante: chi vive nel campo di San Ferdinando non ha servizi igienici, né acqua potabile. I letti, brandine, materassi a terra, coperte, sono arrivati con la Caritas e altre associazioni come Sos Rosarno. Qui è tutto possibile solo grazie ai volontari. Lo conferma anche il parroco di Rosarno, don Pino Demasi, che è referente in zona di Libera contro le mafie. Dice: «Quello che è accaduto è un episodio isolato, ma qui cerchiamo di dare assistenza a questi giovani che sono accampati in situazioni che potete vedere. C'è bisogno di un intervento pubblico vero per eliminare questo degrado».Secondo Medu, il 7 per cento di chi vive nel campo deve accontentarsi di dormire a terra. Molti immigrati che lavorano nei campi della Piana di Gioia Tauro hanno il permesso di soggiorno e un buon 54 per cento ha già ottenuto il diritto d'asilo. Solo il 10 per cento ha un contratto di lavoro. Sfruttati. E suona una beffa, quasi un fallimento, sapere che questa tendopoli è nata dalle ceneri di una baraccopoli abusiva rasa al suolo, con l'impegno della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi.

I cronisti che seguono con assiduità le vicende di questo pezzo di Calabria ricordano che, appena quattro mesi fa, venne firmato un accordo alla Prefettura di Reggio per risolvere i problemi della tendopoli. Firmarono Regione, Area metropolitana, Protezione civile regionale, Caritas, Croce Rossa, Emergency e Medu. La Regione si impegnava a metterci 300mila euro per bonificare tutta l'area, sostituendo le tende vecchie e realizzando servizi igienici con impianti elettrici. Poi, la parte più difficile con lo studio di progetti di integrazione degli immigrati.Finora, però, si è visto poco. E scrive Medu nel suo rapporto: «I pazienti visitati hanno patologie dell'apparato digerente e respiratorie collegate allo stato di indigenza e di precarietà sociale e abitativa. Poi, anche patologie muscolo-scheletriche dovute alla dura attività lavorativa».

La situazione della tendopoli non favorisce coabitazioni serene. Commenta Ivana Galli, della segreteria nazionale Flai-Cgil: «Quello che è accaduto nella tendopoli evidenza una situazione, giunta ormai al limite, nei ghetti dove vengono ospitati braccianti stranieri sfruttati nei campi per la raccolta estiva».La realtà della tendopoli di San Ferdinando non è molto diversa da quella degli agglomerati precari di immigrati che si arrangiano in casolari abbandonati non molto distanti a Rosarno, come a Taurianova o Rizziconi. Si chiamava «Rosarno città aperta» il progetto di quattro mesi fa, gestito da Sos Rosarno, Ponte di Archimede, Medu, Frantoio delle idee. Tutte associazioni di volontariato, che riuscirono a portare qui tanti musicisti. C'era anche l'italo-francese Sandro Joyeaux. Rimase entusiasta dai giovani africani che, con gli occhi lucidi dalla gioia, gli chiedevano: «Ma davvero è una festa per noi?».