«Sud, servono investimenti pubblici
altrimenti sarà un flop»

«Sud, servono investimenti pubblici altrimenti sarà un flop»
di Francesco Pacifico
Lunedì 10 Luglio 2017, 08:03 - Ultimo agg. 08:15
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Fare del Mezzogiorno la porta dell'Italia (e dell'Europa) verso il Mediterraneo. Ridistribuire meglio le risorse pubbliche verso il Sud, perché quest'area può spingere tutto il Pil nazionale. Questa la ricetta di Adriano Giannola, presidente della Svimez.

Professore, oggi il ministro della Coesione De Vincenti parteciperà a un forum nella redazione del Mattino. Lei cosa gli vorrebbe chiedere?
«Intanto, lo ringrazierei perché ha introdotto un filo conduttore nazionale nei patti per il Sud e ha reso strategici obiettivi tipo le Zone economiche speciali. Però da economista qual è, mi aspetterei che chiarisse quale ruolo deve avere il Mezzogiorno, soprattutto per quanto riguarda la direzione da tenere verso il Mediterraneo».
Il Mediterraneo?
«Si dovrebbe finalmente capire che è il Mediterraneo, non la Baviera, la nostra opportunità. L'Italia ha una rendita di posizione non sfruttata. Perché con la globalizzazione, che vuol dire Nord Africa, Cina o India, questo mare è diventato il centro degli scambi mondiali. Qualche volta mi chiedo se, non capendolo, siamo un po' stupidi oppure se non vogliamo vedere questi processi. Eppoi, rivoltando l'orizzonte del nostro sguardo, avremmo anche effetti in termini ambientali o energetici. Quanto carburante sprechiamo e quanto inquinamento creiamo, portando da Rotterdam a Milano le merci, che invece potrebbero essere consegnate nel porto di Napoli?»
Qual è allora la strategia?

«Redistribuire gli investimenti in maniera coerente e mirata, in una logica in grado di ottimizzare la crescita nazionale. Allo Svimez ci siamo chiesti quali effetti ci sarebbero stati se la clausola di salvaguardia fosse stata inserita già nel 2009. Bene, il centronord avrebbe perso solo qualcosa nella crescita, salendo del 7 e non dell'8 per cento. Il Sud avrebbe guadagnato cinque punti contro i 15 persi. Ma soprattutto si sarebbe risparmiato almeno 200mila occupati in meno».
Soprattutto su che cosa si deve puntare?
«Gli investimenti vanno realizzati secondo direttrici di sviluppo. Penso alle Zes nei porti, accanto alle quali vanno creati retroporti e una logistica di valore. A Tangeri, per esempio, così sono riusciti a convincere la Renault a insediarsi e a creare 40mila posti di lavoro in due anni. Ma questa logica da noi non è mai passata. Pensiamo allo scalo di Taranto: i cinesi volevano farne il loro hub, li abbiamo fatti aspettare dieci anni e poi sono stati costretti a comprarsi il Pireo per fare quello che volevano costruire in Puglia».
C'è chi dice che non basta la spesa pubblica.
«Il problema è che tocca lavorare con la spesa pubblica. Che non va più vista in senso quantitativo. Cosa è più efficiente? Fare la Pedemontana in Veneto oppure i trenta chilometri di binari che uniscano i porti di Gioia Tauro e di Taranto e da qui sulla linea adriatica?».
Biagio De Giovanni, commentando sul Mattino il crollo della palazzina di Torre Annunziata, notava che questa tragedia era assente nel dibattito o sulla stampa nazionale.
«La questione esiste, ma io prima prenderei a calci i meridionali per spingerli a fare quello che potrebbero fare. Perché prima di tutto c'è un problema culturale nostro. Vorrei ricordare che è stato il trentino De Gasperi a fare la Cassa del Mezzogiorno, mentre tanti esponenti della classe politica e dirigente del Sud non credono che l'area abbia un ruolo essenziale. Non voglio parlare di nuovo miracolo economico, ma se vogliamo una ripresa più sostanziosa, dobbiamo capire che siamo, parlo d'Italia, l'avamposto sul Mediterraneo, del più grande mercato del mondo: cioè l'Unione europea».
Intanto è il Sud a trainare il Paese. Ma è vera ripresa?
«Negarla sarebbe difficile. Ma è una ripresa che va inquadrata nel suo vero significato. Prendiamo la Campania: cresce del 2 per cento e siamo di fronte a un'inversione di tendenza, perché l'anno prima non era andata molto bene. Quindi non dobbiamo enfatizzare un recupero rispetto all'abisso, nel quale era crollata dopo la crisi, perdendo 16 punti».
A che cosa è dovuta questa crescita?
«È molto legata al settore delle costruzioni, che importa di meno e ha un maggiore impatto sull'economia locale. Poi c'è il manifatturiero, a riprova che non siamo di fronte a un miracolo. La Campania poi ha una struttura di medie imprese che, come ha rilevato la fondazione La Malfa, è la più importante del Mezzogiorno. Dove però crescono le eccellenze, ma diminuisce il numero complessivo. Il nodo, però, è un altro».
Quale?
«Più in generale, si vedono gli effetti legati a una più decisa politica industriale, basata sui contratti di sviluppo e in grado di tentare le grandi imprese. È come la vecchia programmazione dell'offerta che non guarda alla domanda da generare, ma agli investimenti che poi saranno loro a promuovere il reddito».
Come vanno le altre regioni del Sud.
«Stiamo facendo un'accurata valutazione della Calabria, che viene considerata la Cenerentola del Paese. Invece questo territorio cresce all'1 per cento. La Puglia, ritenuta molto dinamica, vede salire il Pil, ma soltanto dello 0,7. Così l'Abruzzo, che lo scorso anno era andato molto male e quest'anno andrà in negativo. La Basilicata grazie all'automotive inanellava performance del 5 per cento. Ora si ferma al 3».
Quindi, la spinta l'hanno data i privati o la spesa statale?
«Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, nel 2015 c'era stata una ripresa. Ma nel 2016 abbiamo avuto di nuovo una flessione. Tanto è vero che il ministro De Vincenti ha inserito nel decreto sul Mezzogiorno di febbraio una clausola di salvaguardia che mantiene il livello al 34 per cento, proprio per porre un freno a un'endemica tendenza, che non rispetta neppure la quota per popolazione. L'agenda 2016-2020, sulla quale siamo in ritardo, ha innescato qualche miglioramento. Sono ripresi di più gli investimenti privati: segno che gli strumenti agevolativi, come i contratti di sviluppo, hanno avuto un effetto favorevole su tutta l'economia. In pratica, si è avuto un rafforzamento nella politica industriale».
Come andranno le cose nel 2017?
«Come Svimez stiamo concludendo le stime, ma pensiamo che ci sarà una prosecuzione sostanzialmente, anche legata alle aspettative date dai due decreti sul Mezzogiorno: la quota vincolata di investimenti al 34 per cento, il posizionamento in quest'area di due Zes, il fatto che il Masterplan tende a concretizzarsi in fattori effettivi. Anche nel 2017 si può confermare questa tendenza che non a caso abbiamo definito effetto dimostrazione: cioè che se s'interviene nel settore pubblico in modo più strategico e più puntuale ci guadagna in termini di Pil tutto il Paese, visto che il Sud è più reattivo proprio per le maggiori contrazioni di risorse subite».
Da ex presidente della Fondazione Banco di Napoli come commenta le denunce dell'attuale numero uno Daniele Marrama, secondo il quale è «in atto una lotta di potere»?
«Io non credo che siano in azione bande che attacchino la Fondazione. Sulla questione dei fondi della Sga che il Tesoro deve restituire all'azionista, l'ente ha mandato un po' tardivamente una lettera di significazione, una richiesta di spiegazione, a via XX settembre. Io spero che le polemiche non compromettano i diritti della Fondazione, che non hanno nulla a vedere con le beghe del consiglio».