Brexit, infermieri e professori, in ansia i 500 mila italiani d'Inghilterra

Brexit, infermieri e professori, in ansia i 500 mila italiani d'Inghilterra
di Cristina Marconi
Mercoledì 22 Giugno 2016, 09:55
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LONDRA Lavoro, investimenti, studio: sono solo alcune delle ragioni per le quali circa mezzo milione di italiani vive nel Regno Unito e in questi giorni guarda a quello che succederà dopo il 23 giugno con preoccupazione, ma anche con pragmatismo. Andando innanzi tutto a regolarizzare la propria posizione con all'Aire, Associazione italiani residenti all'estero, dove le registrazioni sono aumentate del 50% nell'ultimo periodo, per un totale di 264 mila iscritti in Inghilterra e Galles e 16 mila in Scozia e Irlanda del Nord. Numeri importanti, ma che sono appena la metà di quelli reali, secondo le stime, col risultato che Londra, per numero di connazionali, sarebbe la settima città italiana, dopo Genova e prima di Bologna. Una città molto attiva e operosa, dove l'imprenditoria italiana è florida grazie ad una burocrazia semplice ed efficiente.
IL GIRO D'AFFARI
Solo nel 2013 gli investimenti italiani hanno generato in tutto il paese un giro d'affari di 24,4 miliardi di sterline, ossia più di 30 miliardi di euro, impiegando 48.300 persone soprattutto grazie alla presenza di industrie automotive, di difesa e aerospazio e di energia, che rappresentano il 66% del totale. Rilevante anche il ruolo dell'industria alimentare e della ristorazione, che nel 2013 ha generato l'8,4% del fatturato italiano. Numeri che vanno crescendo di anno in anno, nonostante un accentuato fenomeno di rientro in patria dei quarantenni che si sta osservando negli ultimi mesi. Non per tutti la Brexit sarebbe un problema. «A noi che produciamo in un'area depressa del paese come il Merseyside converrebbe perché eliminerebbe molta concorrenza di chi produce fuori e si ritroverebbe a dover far fronte al crollo della sterlina», spiega Maurizio Bragagni di Tratos, società di cavi per le telecomunicazioni. «Ma il costo per la popolazione sarebbe enorme, anche perché se uscissero dovrebbero fare grandi iniezioni di liquidità e tagliare il welfare per mantenere la competitività. Diventerebbe una grande Singapore dove si celebra la ricchezza e dove gli ultimi vengono dimenticati», spiega Bragagni. Ma Londra è anche il luogo dove sono confluiti molti capitali italiani durante il picco della crisi e dove nella fascia più alta del mercato immobiliare gli italiani sono stati tra i principali acquirenti stranieri, con una spesa media di 4,4 milioni di sterline nel 2014: tra il 2014 e il 2016, il 12% del mercato degli appartamenti di lusso di seconda mano è stato in mano a europei occidentali, di cui il 21% italiani, mentre sulle nuove costruzioni sempre di lusso, il 4% è andato in mano a europei, di cui il 25% italiani, secondo i dati di Savills.
Nell'eventualità di una Brexit, il cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha parlato di un possibile calo dei prezzi delle case tra il 10 e il 18% e i timori legati al referendum hanno già rallentato l'intero mercato, anche quello degli immobili non di pregio. Sulle condizioni che verrebbero imposte agli stranieri in caso di Brexit non è stata fatta chiarezza dai fautori del Leave, ma gli esperti tendono a convenire che per 2 o 3 anni, il tempo per Londra di negoziare un divorzio da Bruxelles, non cambierebbe nulla. E soprattutto non dovrebbe cambiare nulla per tutti coloro che svolgono lavori fondamentali per il Regno Unito: medici e infermieri italiani, ad esempio, sono più di 4 mila, mentre sul fronte accademico ci sono 22 mila professori italiani in tutto il paese, di cui 6 mila solo a Londra.
Qualche rischio in più lo corrono i 10.525 studenti italiani nel Regno Unito, che ora pagano rette ridotte in quanto parificate a quelle italiane ma che, in caso di uscita del Regno Unito dalla Ue potrebbero dover fronteggiare gli stessi costi applicati ad esempio agli studenti cinesi, ossia circa 35 mila euro all'anno.
Cristina Marconi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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