Il cambio della strategia di Ankara

di ​Fabio Nicolucci
Domenica 17 Luglio 2016, 08:57
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La vera notizia nella convulsa notte sugli Stretti del Bosforo di venerdì, non è tanto che in Turchia i militari abbiano tentato un golpe, quanto che esso sia fallito. E tanto rapidamente da far sembrare i golpisti degli spaesati improvvisatori, privi non solo di consenso ma anche di contatto con la realtà. Tanto che alcuni analisti turchi tratteggiano scenari complottisti, nei quali un manipolo di ufficiali, di cui il presidente della Repubblica Erdogan stava pianificando l'epurazione, sarebbero stati addirittura «spinti» a un'azione improvvisata da elementi fedeli al presidente, preventivamente informato.

Ma al di là di scenari fantasiosi, il fallimento del golpe indica senza ombra di dubbio un cambiamento strutturale della cultura politica della Turchia del Terzo millennio, sia per motivi interni sia per motivi esterni. Un cambiamento che per la prima volta nella storia della Turchia moderna sembra compreso, intercettato ed in parte innescato dalla sua leadership politica e non da quella militare. Per la prima volta è la leadership militare ad apparire anacronistica rispetto a quella civile, e non il contrario. Per questo gli Usa ed Israele, dopo qualche esitazione, hanno condannato il golpe malgrado la controversa leadership di Erdogan. Un anacronismo che è tutto politico, e non certo tecnologico. Il golpe non è fallito perché la chiusura della tv di Stato oggi si può aggirare con uno smartphone, bensì per motivi politici, perché non vi era consenso.

E consenso non vi era perché la Turchia è cambiata e non si riconosce più in una rappresentazione per la quale la frattura della società turca sarebbe tra laicisti e islamisti. Una frattura che dopo l'11 settembre Erdogan fonda l'Akp proprio nel 2001 e il suo avvento al potere nel 2002 ha perso via via di significato, offrendo l'innovativo modello di un partito islamico al governo in un contesto di separazione tra religione e politica. E per questo salutato allora come prototipo da tutto l'occidente, sbigottito di fronte all'offensiva dell'Islam politico radicale. Tanto da far parlare dell'Akp come della Democrazia Cristiana turca. Oggi quella divisione non è più rilevante per molta parte della società turca, tanto che tutti gli oppositori anche laici di Erdogan si sono dissociati dal tentativo di golpe. Perché oggi la vera linea di frattura all'interno della società turca come in tutta la regione, soprattutto dopo le cosiddette Primavere arabe - è tra autoritarismo e democrazia. Malgrado infatti le nostre rappresentazioni in occidente, oggi lo spartiacque non è tra laici (nel medioriente saranno sempre molto pochi) e credenti, quanto tra potere civile e potere militare. Perché la crisi è di rappresentanza, non di suddivisione dei poteri in senso liberale. Al contrario però dei paesi arabi, la Turchia è alla ricerca di un nuovo equilibrio tra autoritarismo e democrazia per il suo stesso impetuoso sviluppo economico e modernizzazione, che ha fatto nascere nuovi bisogni e creato nuovi meriti.

La Turchia oggi è infatti la storia di un successo economico, ed esattamente come quell'Unione Europea che ciecamente l'ha sempre respinta sulla base di confuse e inconfessabili diffidenze pararazziste, il problema di Erdogan è quello di trovare una nuova missione, evitando il declino di quella vecchia. Il suo tentativo neo-ottomano di ergersi a guida regionale è fallito, perché il presupposto di autosufficienza su cui si basava si è rivelato velleitario. Portandolo a chiudere le sue intelligenti aperture sulla questione curda del 2012, a cercare di usare un attore come l'ISIS per decidere da solo cosa dovesse succedere nella vicina Siria una tentazione presente sin dalla nascita della Turchia kemalista e in definitiva puntando sull'autarchia e non sull'interdipendenza. Rompendo addirittura con Israele, frattura da poco ricomposta, e con la Russia. Molte di queste scelte, paradossalmente, sono frutto della vecchia cultura politica dei militari, ancora immersa nella Guerra Fredda, che non espressione della nuova Turchia che lo stesso Erdogan ha contribuito a far nascere.

Negli ultimi anni l'innovatore è così sembrato tradire se stesso. Scegliendo, sotto la pressione delle guerre all'uscio di casa, vecchie consuetudini autoritarie che la Turchia non vuole più. Questa crisi può dunque essere un occasione. Anche per modernizzare la cultura politica dell'esercito, come fece Sadat con la sua rivoluzione correttiva e la purga degli ufficiali nasseristi nel 1971. Sempre che sappia vincere senza stravincere. Rassicurando quel cittadino turco di sinistra che prima del blocco dei social network venerdì notte ha scritto su twitter: prima ho appreso che i militari avevano lanciato un golpe, e un brivido freddo mi è corso lungo la schiena. Poi ho saputo che il golpe era fallito. Ed un brivido freddo mi è corso lungo la schiena.
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