Pompe funebri, a Salerno la guerra di famiglia finisce in tribunale

Lo zio, titolare di una nota attività, accusa i nipoti: «Usano il mio marchio e mi hanno anche minacciato di morte»

La Cittadella giudiziaria di Salerno
La Cittadella giudiziaria di Salerno
di Viviana De Vita
Sabato 6 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 12:41
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«Noi da qui non ce ne andiamo: sei tu che devi andare a lavorare da un’altra parte. È meglio che non ti presenti ai funerali, ti devi stare a casa: se continui così ti ammazziamo». Approda in un’aula di tribunale la guerra all’interno di una famiglia nota in città per le sue attività nel campo delle imprese funebri. Il processo, scattato dopo il rinvio a giudizio sancito dal gup all’esito dell’udienza preliminare, entrerà nel vivo il prossimo giugno quando, dopo l’esame di un finanziere, saranno sentiti altri testi.

Tutto nasce dalla guerra tra i due fratelli, un tempo soci nell’attività e poi ai ferri corti per una storia di affari andati male. Un sodalizio durato 30 anni, la cui rottura ha poi dato luogo alla creazione di un’altra società che fa capo ai figli di uno dei due fratelli, accusati dallo zio di aver fatto concorrenza sleale alla sua azienda. Sono finiti in un’aula di tribunale lo zio, (assistito dall’avvocato Francesco Dustin Grancagnolo) in qualità di vittima e imputato (è accusato di essersi appropriato di circa 14mila euro – somma pagata dai clienti per i servizi di onoranze funebri – senza versarli nelle casse della società), e i due nipoti, assistiti dall’avvocato Michele Tedesco, accusati di tentata estorsione e turbata libertà del commercio ai danni dello zio.

Si è costituito parte civile, contro il fratello imputato, il padre dei due ragazzi.

Pesanti le accuse formulate dal pubblico ministero Katia Cardillo, titolare del fascicolo, che fanno luce su una vera e propria guerra che trapelò in città nel 2018 quando lo zio, esasperato dalla vicenda, presentò un esposto al Comune contro il nipote denunciando delle irregolarità e chiedendo delle verifiche agli organi competenti. In seguito a quell’episodio, zio e nipote vennero alle mani in piazza Nicotera, nel quartiere Torrione. Il cuore del procedimento ruota intorno all’accusa di tentata estorsione messa in atto dai due fratelli contro lo zio, titolare con il fratello della ditta di onoranze funebri.

La Procura ricostruisce le intimidazioni rivolte dai due ragazzi allo zio e culminate un giorno quando uno dei due fratelli, spingendo il parente contro il muro e provando a prenderlo a pugni davanti al figlio, lo minacciò di morte: «Vi schiatto la testa a tutti e due, io vi schifo, non siete nessuno». Secondo le accuse della Procura, i due fratelli imposero la propria presenza all’interno della ditta dello zio nonostante fossero già stati licenziati per giusta causa (il licenziamento non fu nemmeno impugnato davanti all’autorità giudiziaria). Secondo la ricostruzione fatta dalla Procura, i due fratelli volevano costringere il parente, ad allontanarsi dalla società e ad assicurarsi il profitto consistente nel controllo della totalità delle quote (evento non verificatosi – precisa il magistrato nel capo di imputazione – per cause indipendenti dalla loro volontà).

Ma c’è di più perché i due fratelli, dopo aver costituito una nuova società utilizzando illecitamente il “marchio” di famiglia, avrebbero escogitato anche un singolare espediente per boicottare lo zio dirottando poi i suoi clienti alla loro ditta. Prima avrebbero cancellato dalla vetrina del locale commerciale dello zio l’ultima cifra del numero di telefono dell’uomo in modo che lo stesso non potesse più essere contattato dai clienti; poi avrebbero addirittura deviato, sul telefono cellulare del padre, le chiamate in entrata effettuate dai clienti al numero fisso dell’ufficio dello zio negli orari in cui il negozio restava chiuso. I due fratelli sono accusati anche di aver continuato ad utilizzare il marchio di famiglia per la loro ditta nonostante un provvedimento del tribunale lo vietasse.

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