Marianna Fontana in "La seconda vita": «Storia di un’ex detenuta
rinata oltre i pregiudizi»

Un film sulle opportunità offerte a chi ha scontato la pena ed esce dal carcere

Giovanni Anzaldo e Marianna Palmieri in una scena di La seconda vita
Giovanni Anzaldo e Marianna Palmieri in una scena di La seconda vita
di Alessandra Farro
Domenica 14 Aprile 2024, 07:13 - Ultimo agg. 16:36
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I lineamenti duri della protagonista di «La seconda vita» di Vito Palmieri, interpretata dalla casertana Marianna Fontana, si stagliano contro lo sguardo smarrito e le labbra arricciate, imbronciate, sconfitte dal giudizio sterile della società nei suoi confronti. Anna ha passato quasi metà della sua vita in carcere, ne esce trentenne, intimorita dal mondo fuori dalle sbarre, pronto a giudicarla per il suo passato, meno a darle una seconda possibilità. Il film, prodotto dall’indipendente Agricolture con Rai Cinema, è stato presentato dall’attrice al cinema Vittoria, dove rimarrà in programmazione per una settimana.


Chi è Anna per lei, Marianna?
«Una ragazza diventata donna in carcere, essendoci entrata in adolescenza, e che nutre una profonda solitudine, un dilaniante dolore che non riesce ad esprimere. Ha un aspetto duro, che nasconde la sua dolcezza e la sua profondità. Una volta fuori dalla prigione, cerca di rifarsi una vita, nonostante si senti costantemente giudicata da tutti per il suo passato. Ci riuscirà, in qualche modo, o comunque tenterà di farlo, andando a vivere in un paesino emiliano, dove si costruirà una nuova identità e incontrerà Antonio (Giovanni Anzaldo) con cui intraprenderà una timida relazione: quella tra due solitudini che si incontrano e si riconoscono».
 

Questo film trae ispirazione dal documentario di Palmieri «Riparazioni» (ora su Prime Video), aprendo le porte a riflessioni spesso trascurate riguardo alla condizione dei detenuti e alla loro riabilitazione.
«Ho confermato subito la mia partecipazione al progetto proprio per la tematica trattata, ognuno di noi ha bisogno di una seconda possibilità, soprattutto quando capisce di aver commesso un errore.

Anna, poi, è un personaggio femminile che raramente viene raccontato, almeno in Italia. Di solito, figure come la sua vivono nell’ombra. Vito mi ha parlato del film 5 mesi prima delle riprese, e abbiamo subito cominciato a ragionare sulla costruzione del personaggio. A un mese e mezzo dalle riprese, poi, ho incontrato una criminologa che mi ha spiegato la condizione che vivono i detenuti e il loro modo di approcciarsi alla vita dopo lo stato detentivo». 

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Tra le figurazioni, sul set, c’erano anche dei reclusi e dei mediatori penali.
«È vero, ma la produzione ha voluto mantenere riservatezza sulla loro identità, per non creare chiacchiericci. Probabilmente li avrò incontrati e avrò parlato con loro senza sapere chi fossero. In generale, credo che la visione di questo film sia importante perché tratta un tema che non viene toccato frequentemente».
 

Prima delle presentazioni al cinema, avete portato il film nelle carceri: che esperienza è stata?
«È stato bello vedere come chi vive davvero quelle condizioni si sia emozionato ed abbia accettato il film come realistico. C’è stata una grande accoglienza dappertutto, non che non me l’aspettassi, ma c'è una differenza sostanziale tra interpretare un ruolo e confrontarsi con la realtà di quel ruolo. Sono felice che le detenute abbiano riconosciuto in Anna una loro pari. Siamo stati al carcere femminile romano, a Rebibbia, a Volterra, a Milano. Abbiamo visto il film insieme alle recluse. È stata un’esperienza formativa, sia per loro che per noi. Alla fine delle proiezioni, abbiamo parlato del film, confrontandoci in modo sereno e normale». 

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