Brunori e «A casa tutto bene»:
la canzone d'autore torna sociale

Brunori SAS
Brunori SAS
di Enzo Gentile
Mercoledì 25 Gennaio 2017, 22:05
3 Minuti di Lettura

Fa parte della generazione dei quarantenni, di quella canzone d'autore sospesa tra il circuito indie e la zona dei padri nobili, che non a caso nel suo album cita copiosamente, da Battiato a Battisti a Concato fino ad Alan Sorrenti. 
Dario Brunori, 1976, dalla provincia di Cosenza, pubblica il suo nuovo lavoro, il migliore della sua giovane produzione: «A casa tutto bene» è un ventaglio di dodici quadretti agrodolci, con un panorama di suoni e musiche molto variopinto e storie che attingono dalla cronaca, da considerazioni sul mondo e sulla società, trattate con disincanto e un tocco di poesia mai banale.
 


«Ho cominciato a scrivere e a pensare a questo lavoro appena dopo il tour del precedente disco, dove c'era la mia componente più umoristica: mi era venuta voglia di metterla temporaneamente da parte per utilizzare un filtro meno ironico, e un registro più serio per raccontare le cose intorno a me. L'attualità è un terreno scivoloso, il rischio è quello di scadere nelle chiacchiere da bar, ma volevo  esprimere il mio punto di vista, diviso tra i lunghi soggiorni a Milano e i periodi in cui mi ritiro nel mio piccolo paese di collina, San Fili. Questo è un disco in cui affronto le mie paure, denunciando lo spaesamento di molti nei confronti della realtà che ci circonda».

«La verità», «L'uomo nero», «Colpo di pistola» e «Secondo me» sono i titoli più rappresentativi di un album che si avvale della preziosa tessitura alla produzione  di Taketo Gohara, che offre tinte importanti alle composizioni di Brunori Sas: «Ho voluto che potesse uscire il mio taglio di musicista, in modo che il gruppo avesse un ruolo e un peso significativo: sono ragazzi bravissimi, ormai una famiglia, con me da diversi anni, che portano la loro esperienza dal conservatorio, dal jazz, dal rock e mi piace pensare a una architettura complessa, per colori e sentimenti. Tra le ispirazioni che meglio mi hanno guidato, ci sono Beck, Other Lives, Sufjan Stevens, Beirut, Arcade Fire: magari sono elementi, figure distanti, ma che credo di aver assimilato mentre scrivevo e in qualche modo si riflettono nei vari brani. E comunque anche tra i colleghi italiani ce ne sono tanti che stimo e apprezzo, a partire da Dente e Baustelle».

Come guarda a una manifestazione qual è il festival di Sanremo?
«Tanti della mia età sono nati con certe edizioni clamorose e io stesso resto sospeso tra considerazioni opposte: mi piacerebbe partecipare per mostrare a mia madre che lo guarda che anch'io ce l'ho fatta, ma dall'altra parte mi sembra che per la strada fatta, per il tipo di pubblico e di relazioni strette sinora, sarebbe del tutto inutile. Sta di fatto che non ci ho mai provato e non sento di dover sgomitare come tanti fanno per andarci a tutti i costi».
Con un tour in partenza proprio fra un mese, e una data annunciata il 18 marzo alla Casa della Musica di Napoli, Brunori, passato nel pomeriggio di oggi dalla Feltrinelli di piazza dei Martiri per un firmacopie, ammette la sua condizione anomala di artista: «Non mi sento portato alla vita di viaggi e hotel come certe rockstar, io sono fondamentalmente pigro, sto bene appena posso rifugiarmi e proteggermi a casa, lontano da tutto e da tutti. Poi ammetto la contraddizione, mi piace il contatto con il pubblico: in questo disco mi metto in discussione e denuncio il subbuglio di uno stato d'animo, senza ansie metropolitane né passeggiate nei boschi, cui preferisco nottate giocando a Risiko o guardando Netflix: la casa di cui parlo nel titolo è quella che mi tiene al riparo da quel che accade fuori».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA