Il progetto «Un ensemble di ragazzi di talento formati nei conservatori della Campania»

Il progetto «Un ensemble di ragazzi di talento formati nei conservatori della Campania»
di Donatella Longobardi
Giovedì 5 Gennaio 2017, 09:41
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«Nel mio Brahms porto sempre la lezione di Karajan» racconta Daniel Oren. Giovanissimo, vinse il premio intitolato al celebre direttore d'orchestra e, per premio, diresse davanti a lui la Seconda di Brahms sul podio dei Berliner Philharmoniker. Sabato (ore 20.30) e domenica (ore 18) il maestro israeliano reduce da un trionfale concerto di Capodanno a Shanghai, dirigerà la stessa sinfonia con l'orchestra del San Carlo in un concerto che vede tra i protagonisti il violoncello di Enrico Dindo impegnato nell'esecuzione del Concerto per violoncello e orchestra n. 2 in si minore op. 104 di Dvoák. «Con lui dice il direttore si fa vera musica, un onore suonare insieme».

 

Ma perché questa scelta, Oren?
«Perché in fondo c'è un filo che lega Brahms con Dvoák, ed è da ricercarsi nelle radici popolari della loro musica, basti pensare alle melodie della Sinfonia dal Nuovo Mondo. Si tratta comunque di due brani che per ragioni diverse amo molto, e il teatro e l'orchestra ne hanno avuto piacere».
Dunque lei ama Brahms?
«Non potrei non amarlo. Da ragazzino con mia madre vidi il celebre film con Ives Montand e Ingrid Bergman e rimasi folgorato da quella musica. È il re della Sinfonia, ineccepibile la sua costruzione formale».
Lei ricordava Karajan.
«Certo. Una figura importante della mia formazione. Anche all'epoca io ero irruento, ero abituato a dirigere orchestre così così e cercavo di tirar fuori qualcosa agitandomi. Quando salii sul podio dei Berliner mi disse: Questa è una macchina che va da sola, lasciali suonare. Era una sensazione straordinaria, mi sembrava di guidare una Ferrari o una Rolls Royce».
E cos'altro ricorda del maestro?
«Suggeriva di ascoltare i grandi perché è una fortuna avere esempi, insomma, prendere lezione dai grandi interpreti. E io, negli anni, ho avuto la fortuna di frequentarne molti. Solo per restare alla mia esperienza al San Carlo mi piace ricordare Un ballo in maschera con Luciano Pavarotti. Un grande professionista, un mito. A Berlino avevo studiato la musica sinfonica, un po' di Mozart e un po' di Wagner, in Italia con personaggi così ho imparato l'opera italiana. Ma purtroppo oggi non tutti i direttori e i cantanti si pongono all'ascolto degli esempi del passato per imparare, nonostante sia molto facile trovare vecchie registrazioni in rete».
Lei sempre più spesso dirige in Cina, come vede quel mondo in musica?
«Posso dire che sono preparatissimi e pendono dalle nostre labbra. Da noi cercano proprio l'esperienza, la tradizione che non hanno. A Shanghai poi c'è come direttore generale Xu Zhong che è anche direttore principale all'Arena di Verona, un grande professionista, un amico. Sta facendo cose entusiasmanti e costruiscono anche un nuovo teatro dell'opera».
Nel frattempo continua la sua scoperta di giovani talenti. Nell'ultimo concerto a Napoli ha lanciato l'enfant prodige del pianoforte, l'undicenne israeliano Yoav Levanon.
«E spero di riportarlo al San Carlo. È un vero talento, un piccolo genio che riesce a suonare cose che pianisti quarantenni neppure si sognano. Ora sta studiando e prepara il Secondo di Rachmaninov, sarebbe bello farlo eseguire proprio qui».
Lei ha in cartellone a Napoli «Manon Lescaut» a giugno con la Siri e Aronica, poi tutta la stagione a Salerno. Altri progetti? Si ripeterà l'Estate alla Reggia di Caserta?
«Ne ho parlato con il presidente della Regione, De Luca, che tiene molto alla spinta della cultura sull'economia e il turismo. Speriamo di ripetere il successo dello scorso anno. E vogliamo anche fare concerti fuori dalle sedi istituzionali per avvicinare i giovani, a Salerno ne faremo anche all'Università. Ma pensiamo anche di offrire opportunità ai giovani, non solo dando loro la possibilità di ascoltare l'opera lirica. L'idea è quella di dar vita a un'orchestra di giovani in modo da dare lavoro ai tanti musicisti che escono dai conservatori della zona. Spessissimo non trovano occupazione e sono costretti ad andare fuori. Anzi, una vera orchestra stabile potrebbe essere di stimolo a molti talenti per tornare a lavorare in Campania».