Avellino, commercianti allo stremo: «No zona arancione, protestiamo»

Avellino, commercianti allo stremo: «No zona arancione, protestiamo»
Dopo tre settimane in zona rossa, e un anno di continue chiusure forzate, i commercianti sono allo stremo pronti a proteste simboliche per sensibilizzare la politica. ...

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Dopo tre settimane in zona rossa, e un anno di continue chiusure forzate, i commercianti sono allo stremo pronti a proteste simboliche per sensibilizzare la politica.


 

Il 6 aprile, in quello che potrebbe essere l'ultimo giorno di saracinesche abbassate (dal 7 infatti la Campania dovrebbe rientrare in zona arancione) i commercianti avellinesi accenderanno le insegne delle loro botteghe per gridare la loro esistenza. Un'iniziativa simbolica messa in campo dalla Confcommercio nazionale con lo scopo, come spiega il presidente Oreste La Stella, di «cercare di sensibilizzare il Governo nazionale e quello regionale rispetto al dramma che vivono i lavoratori del settore. Una protesta civile, nel rispetto di tutte le regole a cui chi lavora nel settore non si è mai sottratto. Una percentuale elevatissima di attività commerciali ormai è nel baratro: tranne ciò che attiene al settore alimentare e della grande distribuzione, sta andando tutto a gambe all'aria. Illuminare le vetrine dei piccoli negozi sarà un modo per rimarcare l'esistenza di queste attività, insegne che rischiano di spegnersi definitivamente nei prossimi mesi. Nessuno chiaramente vuole contribuire alla diffusione del Covid, ma soprattutto nei piccoli negozi una volta adottate tutte le misure anti contagio indicate dal Governo lo scorso anno, i rischi sono pari a zero. Quindi il sistema di aperture e chiusure va rivisto, perché siamo di fronte ad un dramma che si consuma sulla pelle di tutti i piccoli imprenditori e, a cascata, dei loro dipendenti, fornitori, agenti di commercio. Una reazione a catena di dimensioni terrificanti».

Ed è proprio questa la richiesta, rivedere il sistema di aperture e chiusure a seconda della classificazione della regione di appartenenza, messo in campo dal Governo Conte e fatto proprio dal Governo Draghi che ha addirittura inasprito le restrizioni, ad esempio, imponendo la chiusura in zona rossa anche ai parrucchieri.

Lo sa bene Aquilino Giustiniani, 40 anni due figlie e un negozio, Justyle Barber, da salvare. Anche lui il 6 protesterà con un'apertura simbolica che già nei giorni scorsi ha comunicato ai suoi clienti: «L'anno scorso quando tutto era realmente chiuso durante il lockdown, con fatica abbiamo affrontato lo stop imposto dal Governo. Poi ci hanno consentito di riprendere a lavorare ma solo su prenotazione, acquistando i dispositivi di sicurezza per noi e per i nostri clienti, in caso qualcuno arriva sprovvisto di mascherina la forniamo noi, termoscanner, igienizzante, adeguamento dei locali. Abbiamo affrontato spese non indifferenti pur di poter lavorare in sicurezza per noi e per i clienti. Poi è tornata la zona rossa e la decisione di chiudere nuovamente anche le attività di parrucchieri e barbieri. Non comprendo quale sia la ratio di tali scelte, so solo che nel frattempo registro un calo di fatturato del 40% e che ho sulle spalle debiti di fitto, tasse, e quanto si è accumulato a cui dover far fronte. Ormai si lavora, quando si lavora, solo per pagare debiti non per portare a casa lo stipendio», racconta.

Per questo la decisione di riaprire il 6 aprile in segno di protesta ma sempre nel rispetto delle regole anti contagio: «Il mio è un grido d'allarme, che spero sia accolto anche dai miei colleghi, che vorrei arrivasse a chi di dovere. Ci dicono che dobbiamo imparare a convivere con il virus, ma non ci spiegano come fare per sopravvivere nel frattempo. Oltre il contributo di 600 euro dello scorso anno e quello regionale ricevuto prima delle elezioni, dallo Stato non abbiamo ricevuto più nulla. Almeno, questa la richiesta che con la riapertura simbolica voglio lanciare, ci consentissero di lavorare, a prescindere dal colore della zona in cui viviamo, rispettando le regole che lo stesso Governo ci ha indicato per evitare che nei nostri saloon possa verificarsi un contagio. Io lavoro da solo con un cliente per volta e solo su prenotazione, a lui misuro la temperatura, registro i suoi dati e per mesi, per evitare di fare abbassare la mascherina, non ho tagliato neanche la barba. Regole che, se rispettate, funzionano visto che mai né nel mio negozio né in quelli di altri colleghi si è registrato un focolaio». 

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Il Mattino